Maurizio Maggiani: La mia piccola banca etica e le mire di Fassino

Dunque, io sono un socio Coop, lo sono da molti anni. Se devo essere sincero, la maggiore spinta ad aderire al glorioso movimento cooperativo risiede assai più nella ricchezza delle offerte speciali a cui come socio accedo nei suoi supermercati, piuttosto che a squisite ragioni ideali. Ciò nondimeno ho maturato un sentimento di fiducia nella Coop che ha a che fare anche con qualche ragione non propriamente di convenienza. Mi fido dei prodotti con il suo marchio e mi fido di quello che mi dice, quando mi assicura circa alcuni temi che mi stanno a cuore, come gli ormoni nella carne, il lavoro minorile, gli Ogm. Questa mia fiducia non è stata mai tradita, e dunque perdura nel tempo in una sorta di adesione per simpatia etica, etica del supermercato. Certo, mi piacerebbe sapere altre cose sulle Coop; se, per esempio, i loro dipendenti lavorano in migliori condizioni dei colleghi di altri supermercati, se i milioni di soci che come me per lo più stanno all’erta sulle offerte speciali avrebbero davvero la possibilità di governare un sistema così vasto. Ma non ho mai insistito nel voler sapere; per puro egoismo, forse, per non imbattermi in un’ulteriore delusione. Certe volte, passando accanto a un mostro architettonico e vedendoci il marchio di una cooperativa edile nell’insegna del cantiere, mi si stringe un po’ il cuore, ma solo un po’: ho imparato a non morire di delusioni. Del resto mi sono anche imbattuto in belle cose di belle imprese cooperative, e questo genere di incontro lenisce. A suo tempo sono stato un cliente Unipol, questo nell’idea che un’impresa nata con il sudore del popolo potesse garantirmi meglio nel selvaggio territorio assicurativo. L’adesione ideale è durata il tempo necessario per imbattermi in un perito colluso con la controparte di un incidente, ragion per cui sono vent’anni che non guardo più a quell’assicurazione come a qualcosa di speciale che non sia un torto subito raddrizzato nientemeno che dalla Corte d’appello del tribunale. Quando, guardandomi attorno in città, ho visto nascere filiali di una Banca Unipol, quando, leggendo i giornali, ho saputo della scalata alla Bnl, non ho avuto nessun fremito particolare, non ho maturato alcun pensiero diverso dai soliti pensieri che si fanno sulle banche, pensieri totalmente privi di simpatica adesione. Tantomeno mi sono stupito che un dirigente Unipol potesse essere stato scorretto nei suoi affari; l’Unipol è così distante dai miei pensieri di sinistra che, sbadato, non mi sono neppure chiesto se Giovanni Consorte fosse per caso un militante dei Ds, o un uomo indicato da un partito della sinistra per ricoprire il suo incarico. E è venuta fuori tutta questa roba delle telefonate di Piero Fassino, e infine qualche domanda me la sono fatta. A dir la verità non ci vedo niente di male nel fatto che le cooperative abbiano una banca, nemmeno che una banca ce l’abbia un movimento politico. Perché no? Una banca può essere uno strumento essenziale di mutuo soccorso, di aiuto solidale e equo mercato in una realtà generale che ignora tali principi, in un Paese, il nostro, dove i poteri e i partiti di governo hanno spadroneggiato nel sacco creditizio senza ritegno (diamo un’occhiata alla storia giudiziaria d’Italia) dalla Banca Romana del 1893 in poi. Del resto la Spd tedesca va giustamente fiera del suo sistema di Sparkasse, delle sue imprese, delle sue case editrici, e così i sindacati danesi, svedesi e americani. Darsi un sistema efficace di muto soccorso è tra i principi irrinunciabili di un movimento sociale, o no? Io stesso ho contribuito alla nascita di una banca etica, avente proprio quegli scopi. E, credetemi, ho fatto anch’io, a uno dei fondatori, una telefonata così: «Ma allora, abbiamo davvero la nostra banca?». E ero giustamente felice del fatto che fosse finalmente nata la nostra banca. Che non è né sarà mai paragonabile alla Bnl, ma che fa comunque il suo modesto, encomiabile lavoro. Per questo non ci vedo niente di male e tutto di bene nel fatto che l’onorevole Fassino si interessi all’acquisizione di una banca da parte di un movimento sociale, dello strumento finanziario di quel movimento, vicino e correlato anzi, come deve essere, fortemente simpatico agli ideali suoi e del suo partito. È una conquista di quel movimento e dei milioni di suoi aderenti. A una condizione, naturalmente; una condizione essenziale perché la sinistra abbia ragione di esistere, svolga il ruolo per cui è nata, si offra come riferimento a chi vive operando e sperando per una realtà diversa da quella che vive come ingiusta. E cioè, che l’impresa, che la banca che si vuole possedere sia lo strumento di quegli ideali. Che sia una banca di intenti e di pratica etica. Etica degli affari? Etica del prestito? Etica del finanziamento? Etica assicurativa? Fosse anche solo poter dire: vado in quella banca perché mi trattano meglio, hanno più rispetto per i miei risparmi, capiscono le mie necessità, sono più onesti, si assumono con me ragionevoli rischi per farmi crescere. Perché no? Non solo è possibile, ma ci servirebbe proprio una roba così, di mezzi adeguati, incomparabili con i piccoli mezzi della mia banca e delle molte altre nate in tutta Europa e in tutto il mondo. È questo l’intento della Unipol nel lanciare la sua Opa per la Bnl? È di questo che nutre le sue speranze e telefonicamente gioisce l’onorevole Fassino? Ecco, ne dubito; dolorosamente ne dubito assai. Perché la storia della sinistra di questi anni mi ha insegnato una non piacevole verità: gli uomini che la governano hanno una sola idea veramente chiara a disposizione delle loro strategie di governo: avere potere, acquisire più potere possibile per governare al meglio. Così che ne deriva che potere in sé è una conquista rivoluzionaria, confrontarsi con gli altri poteri sul terreno del potere è l’essenza della battaglia politica. E si è formata una generazione di uomini che confonde il potere sulle cose con il governo delle cose; uomini di potere di sinistra incapaci di un governo di sinistra. È già tragicamente successo nella storia, ed essendo ampiamente documentato, c’era da sperare che si fossero creati potenti anticorpi a una reiterata evenienza del genere. Scusate l’espressione, ma tutto il potere ai soviet è stata la più tragica presa per il culo di un popolo che ha subito per un’epoca intera tutto il potere del soviet supremo e infine tutto il potere dei mafiosi del partito dei soviet. Per chi non lo ricordasse i soviet erano la forma di democrazia di base nata dalla rivoluzione bolscevica. Oggi non esiste un solo uomo, tantomeno un dirigente politico, che pensi lontanamente a roba del genere. Ma non vedo però distintamente chi pensi, seriamente, sinceramente, all’unico potere per cui vale la pensa di sorridere, gioire e essere dettagliatamente informati: il potere esercitato dalla partecipazione attiva della gente al governo del Paese, il potere di controllo del popolo sulle proprie istituzioni, il compimento della democrazia.

Tratto da “Il Secolo XIX”, 8 gennaio 2006