Maurizio Maggiani: La Cavour, misericordia all’italiana
La passata settimana mi chiedevo con ansiosa curiosità in quale modo e misura questo Paese, il popolo di questa nazione di cuori generosi, si verserà nella pratica di compassionevole e misericordiosa empatia fraternità per ciò che rimane del popolo di Haiti e di quella nazione.
Pare che la raccolta popolare di fondi stia andando bene, e l’elemosina è pur sempre qualcosa. Di certo per tutto il Paese è corso un fremito di amorevolezza per gli innumerevoli bambini rimasti orfani e abbandonati alloro destino, e sono fioccate le richieste di adozione immediata; assai meno quelle di affido temporaneo, e sono propenso a pensare che ci sia assai più compassionevole misericordia in chi accetta il grave peso di un’ospitalità affettiva senza la gratificazione della ricompensa della genitorialità.
Ma intanto è lo Stato che ha agito con gesto di generosità addirittura grandioso. Finito il doloroso compito della ricerca dei nostri connazionali dispersi e dell’assistenza ai superstiti, il nostro Paese si concentra ora sul popolo di Haiti, e la portaerei Cavour, ammiraglia e vanto della nostra flotta,ha salpato le ancore carica dimateriali e uomini alla volta dell’isola caraibica. Nessun altro Paese ha fatto così tanto; gli Stati Uniti hanno mandato molto ma non la corazzata Missouri, la Francia non la portaerei Richelieu, la Federazione Russa non un solo sommergibile nucleare della classe Yurij Dolgorukij. Immagino l’afflato di sollievo e il giubilo di gratitudine quando alla rada di Port au Prince si specchierà la colossale mole della nostra portaerei. Non attraccherà ai moli del porto perché non esistono più.
Sono cento anni e passa che non si è vista una nave da guerra così imponente soccorrere le vittime di un terremoto, in nessuna parte del mondo a menota. Se ricordo bene, l’ultima volta sono stati i marinai del famoso incrociatore Aurora, quelli che poi diedero inizio alla rivoluzione bolscevica sparando il colpo di cannone che fu il segnale per l’assalto al Palazzo d’Inverno, che si prodigarono per estrarre dalle macerie i superstiti del terremoto di Messina.
Ma l’Aurora era già lì, con il suo carico di giovani e coraggiosi cadetti in crociera di addestramento. Da molto tempo ormai le cannoniere tendono a stare alla larga dalle operazioni umanitarie, a meno che non si tratti di quel genere di umanesimo che preveda bombardamenti navali. I popoli dell’Asia e delle Indie occidentali e di quelle orientali, con la loro semplice e rozza mentalità, guardano con sospetto alla presenza di navi da guerra straniere nelle loro rade. Potrebbe essere definita come “sindrome Butterfly”. Conosciamo la storia dell’opera pucciniana, e non possiamo dimenticare quanta sventura abbia portato con sé la “nave bianca”, a cominciare dall’affascinante ma fedifrago Pinkerton.
Figuriamoci se se la sono dimenticata gli eredi della disgraziata geisha. Ma posso anche pensare che gli haitiani faranno un’eccezione per la nostra Cavour, conoscendo il leggendario pacifismo dei nostri marinai, e riesco anche a vedere le folle di superstiti a sventolare fazzoletti sui moli sfasciati, nella speranza che il loro benvenuto sia intravisto attraverso i binocoli alla distanza regolamentare di quattro miglia. Al momento non so dove si trovi la nostra ammiraglia, ma nella speranza che si affretti e finalmente dia fondo all’àncora e purtroppo abbiamo una certa tradizione di ammiraglie che faticano ad arrivare a destinazione, si tratti di passare l’Adriatico e di spingersi fino al Golfo Persico che genere di fattiva e misericordiosa compassione porterà con sé? Non mi è chiaro.
So che deve fermarsi in Brasile a caricare personale medico, diamo un passaggio già che ci siamo, immagino che ne abbia caricato già qui da noi. E anche materiale sanitario, naturalmente; medici e medicine che saranno disponibili nella migliore delle ipotesi a due settimane e più dal terremoto. Mi auguro che intanto il lavoro grosso l’abbia già fatto Medici senza Frontiere, perché è difficile che un’urgenza resista in sala d’attesa così tanto. Ma ci saranno anche appendiciti, ernie, riabilitazioni, e un sacco di altri guai che i nostri possono aiutare a risolvere con calma. Se faccio i conti di quanto costa muovere la Cavour, almeno cento volte il costo di noleggio di un cargo mercantile, ne deduco che saranno gli interventi medici più costosi della storia in tempo di catastrofi naturali. Solo spostare dalla plancia alla terra ferma una cassa di medicinali costerà una fortuna.
Ma se noleggiare navi, utilizzare aerei civili e militari, e caricarli di uomini e cose, è un sistema assai più veloce e immensamente più economico, ci priva, noi popolo dal cuore d’oro ma da una irriducibile passione per le belle figure, di quell’innocente e gratificante bel gesto di far vedere al mondo quanto è fica la nostra portaerei. Che è veramente fichissima, e tutti ce la invidiano, e vedi un po’ che magari riusciamo anche a venderne una gemella, magari al Brasile che ancora non ce l’ha una perla così, corroborando la nostra industria navale di una commessa assolutamente auspicabile. Già che ci siamo, già che non c’è niente dimale a far fruttare un pochino misericordia e compassione.
Tratto da “Il Secolo XIX”, 24 gennaio 2010