Maurizio Maggiani: In platea confesso che ho dormito
Quanto valgo come uomo colto, desideroso di coltivare e migliorare la mia cultura? Non un granché, direi. Visto che mi sono messo alla prova e ho fallito. Ho fallito alla grande, come San Pietro tre volte prima dello spuntare dell’alba. Quest’anno mirabilis di Genova capitale della cultura, il Teatro della Corte, il teatro istituzionale della città, stabile da lungo e venerabile corso, ha offerto un cartellone di grande attrazione e pregio, una rassegna del teatro europeo con dentro la crème delle istituzioni ancora vigenti, e viventi, della meglio accademia teatrale del continente. Sono andato alle prime tre opere di cartellone con la gioia e la trepidazione di chi sa che è un privilegio potersele sparare tutte quante assieme nello stesso teatro, una via l’altra in un mese o poco più.
Ronconi, Bausch, Nekrosius. Tre geni, tre miti, tre monumenti.
Non ce l’ho fatta, nemmeno una volta. Nel seguente ordine: Centaura di Ronconi, fuga alla fine del primo atto. Pina Bausch e il suo storico capolavoro sulla terza età, fuga alla fine del primo atto con aggravante di breve ma notato pisolino allo scadere dell’ora. Amleto baltico del Nekrosius, permanenza per tutto il tempo dello spettacolo, con un’ora abbondante di sonno cronometrata dal mio accompagnatore. Credo di aver realizzato la peggiore performance di tutto il pubblico presente e passato del teatro, almeno nella mia fascia di età. Ho fatto tris, carambola e cappotto nel campionato dedicato agli analfabeti di ritorno.
Eppure… Eppure c’è stato un tempo che questo abominio non mi succedeva. C’è stato un tempo che facevo dei bei chilometri per andare a vedere del teatro di uno dei tre sopraddetti.
E spendevo di quel poco che avevo per farlo, mangiando panetti una settimana di fila. Ho fatto viaggi dormendo nei corridoi di treni notturni, ho valicato frontiere di un’Europa ancora divisa da doganieri che subodoravano nella mia sete di cultura subdole storie di contrabbando. Appresso ai tre – e a molti altri, se è per questo – ho vissuto una lunga stagione di meraviglie, da Berlino a Barcellona, imparando qualcosa di grande e prezioso che solo il loro teatro sapeva insegnarmi: la rivoluzionaria forza della parola che si fa scena, la sua magnifica grandezza.
Che è successo, cosa ha fatto di me un relitto accasciato su una poltrona di velluto, razionalmente disegnata, ma assai poco adatta al sonno di un artrosico? La risposta più semplice e onesta è che mi sono rovinato negli anni. Succede di imbarbarirsi, può succedere a un intero Paese, figuriamoci se non poteva capitare a me. Ho perso curiosità, voglia e dedizione per una tra le più alte e feconde espressioni della creatività culturale. Ficcatemi la testa in una gogna ed esponetemi in piazza De Ferrari, che è quello che merito.
Eppure… E se avessi una scusa anche solo decente? Proviamo. Mettiamo, ad esempio, che il teatro istituzionale europeo, i miti e i monumenti, non basta di per sé ad essere eccitante, a indurre nuova curiosità ed attenzione nei suoi vecchi clienti. Forse, Dio ne scampi, nemmeno tanta nei nuovi. Mettiamo che ripetere se stessi non funziona mai abbastanza bene, mettiamo che una carriera creativa o è continua invenzione e rivoluzione o è una rendita, o vitalizio. Ma mettiamoci anche qualcosa di più. Forse la cultura teatrale europea non sta inventando molto di nuovo. E se c’è qualcosa di nuovo che accade, non lo vediamo. Non lo possiamo, non lo vogliamo vedere, forse. Forse il teatro, come la letteratura, o l’arte figurativa, o il cinema, accadono altrove dalle classifiche dei best sellers, dai teatri istituzionali, dai cineplex, i musei nazionali. Forse bisognerebbe che io tornassi a mettermi in viaggio, come un tempo, lasciando perdere le guide ufficiali, ma seguendo le voci sotterranee, i passa parola. Quando le istituzioni erano più sorde e cieche di oggi, aguzzavo di più la vista. Forse bisognerebbe che tutti si mettessero in viaggio. In quest’Europa senza più doganieri, dovrebbe essere molto più facile. Mettersi in viaggio curiosi, liberi, con niente bagagli. Si può fare a tutte le età senza mai cascare dal sonno.
Dico tutto questo, confesso la mia colpa, cerco le mie scuse e sono pronto a scommettere che il Grande Tris teatrale è piaciuto e ha tenuto svegli tutti quanti gli altri spettabili clienti. Sento tutto un bisbiglio di: ma no, era veramente interessante, molto, molto… il terzo atto soprattutto, stupendo.
E io non c’ero!
Tratto da “Il Secolo XIX”, 28 novembre 2004