Maurizio Maggiani: Il fantasma elettorale

Forse oggi l’hanno preso, forse no. Forse l’hanno preso ieri, forse lo prenderanno domani. Meglio sarebbe per Bush prenderlo verso ottobre, ma non ci sputerebbe sopra ad averlo tra le mani a settembre. Vorrebbero prenderlo gli americani, ma anche gli inglesi, e i pakistani farebbero bingo se ci riuscissero loro verso maggio o giugno. Per non parlare degli iraniani che, guarda caso, si mettono avanti e ne danno la notizia della cattura. Secondo la crema degli inviati speciali la cosa più probabile è che l’imprendibile Bin Laden sia tenuto a bagno maria in qualche buco in attesa che si trovi un accordo circa il suo prezzo sul mercato della propaganda planetaria. Del resto è quello che hanno fatto con il suo acerrimo nemico e compagno di lotta, Saddam, tenuto prigioniero in una cantina dalla sua guardia del corpo mentre al piano di sopra si svolgeva l’asta più ricca dai tempi del Van Gogh da 100 miliardi. Qualunque sia stato il prezzo poi, non c’è voluto molto a scoprire che non è che sia stato fatto quel grande affare. Per i molti legittimi e illegittimi soggetti che intendono prendersi l’Iraq, Saddam era un peso morto da tenersi sul groppone, compresi i suoi cosiddetti fedelissimi. Nessun dittatore può contare su un solo fedelissimo quando le cose per lui si mettono dalla parte sbagliata; è successo ovunque e sempre così nella storia. Ora, con le mani libere dalla zavorra di quel vecchio inservibile e impresentabile, possono tutti quanti darsi da fare, sciiti, waabiti, curdi, turcomanni, sanniti di casa e importati dall’estero. Come vediamo tutti i giorni, come dovremmo vedere. In verità Saddam serviva solo al presidente Bush; gli è servito, eccome, quando era il più affidabile nemico dei suoi nemici, e spera che gli serva a qualcosa ora che se l’è preso e se lo può godere tutto per sé. Per il resto, che le cose in Iraq adesso vanno meglio non osano neppure dirlo gli addetti alle pubbliche relazioni che intendono mantenere il posto di lavoro anche con il prossimo presidente, qualora ce ne fosse uno nuovo da gennaio 2005 in poi. Così il temutissimo, inafferrabile Bin Laden. Per come la vedo io, Bin Laden esiste solo perché possa essere preso al momento giusto. Ha smesso di essere vero e reale potere quando ha cominciato a farneticare dentro i media. Da un pezzo è solo icona, fantasma di immagine e suono. Con le icone, con i discorsi si possono vincere delle elezioni, non le guerre. Se c’è, ed è difficile avere dubbi in proposito, una forza terroristica che ha dichiarato e iniziato una sua guerra, non è su Bin Laden che ripone i progetti di vittoria. Temo che sia così dall’indomani dell’11 settembre. E preso il bandito, temo, non sarà vinta nessuna grande battaglia e tantomeno una guerra. Forse una campagna elettorale, ma solo forse. Bin Laden esiste ancora per questo suo utile scopo. Siamo tutti quanti certi nel mondo che Al Qaida sia forte e determinata, un pericolo di dimensioni planetarie, ma se abbiamo un po’ di buon senso e sufficiente senso della responsabilità per dirci la verità, per informare i popoli della realtà dove vivono o sopravvivono, dovremmo anche rifiutarci di giocherellare con le immagini, di gingillarci con le subdole illusioni. Bin Laden è uno specchietto che lancia ammalianti riflessi, preso lui tutto sarà ancora da fare. I popoli angosciati del Medio Oriente non avranno perso niente di buono, noi non avremo guadagnato niente di sufficientemente lucroso. È così, anche a chi piace pensare, e far pensare, che le cose della realtà sono una edizione tridimensionale di Star Trek o del Signore degli anelli. Abbiamo bisogno di miti? Abbiamo bisogno di dare corpo al Male sotto forma di inquietante dipinto affrescato sui muri delle cattedrali della contemporaneità? Perché ne abbiamo bisogno? Perché vinceremo più facilmente? Più alacremente lotteremo? Personalmente sono arcistufo di essere preso nella stessa considerazione intellettuale di un contadino della plebe medievale. Certo, se è vero quello che penso io, le cose sono più difficili, più complicate e demoralizzanti di un bel film o del futuro prossimo visto da un palco di un comizio elettorale, ma non vorrei essere nemmeno tra quelli che, sfollando da un cinema si trovano a guardare il cielo e il mondo sotto il cielo, ed essere sopraffatti dall’improvviso terrore della cruda verità delle cose.

Tratto da: Il Secolo XIX, 29 febbraio 2004