Maurizio Maggiani: Il bambino che fa a pugni con la realtà

Da un po’ di tempo ho un nuovo amico, si chiama Mirko. Mirko non ha ancora compiuto otto anni, ma è alto, robusto e sveglio come un ragazzino di nove, dieci anni. La nostra conoscenza è avvenuta in un frangente piuttosto singolare una domenica mattina di questo inverno. Ero ospite di amici nella campagna romagnola, in una grassa collina di vigne e frutteti, e di buon mattino mi sono messo in cammino per una passeggiata nella neve.
La neve era alta, dura e vergine, il cielo indaco, l’aria gelida; pensavo di essere l’unico essere vivente nel cuore di quell’infinito biancore quando davanti a me spunta Mirko: scarponcini slacciati, giacca a vento aperta, faccia rossa di couperose, si stava facendo anche lui una solitaria passeggiata.
Molto educatamente si è presentato: è il vicino dei miei ospiti, la sua casa è un chilometro più in là, gli piace passeggiare, andare in bicicletta, scoprire cose interessanti come istrici addormentati, cani dispersi, ghiri acrobati. Da quella mattina siamo diventati amici: gli piace parlare con un tizio che viene da una terra che non ha mai visto. I suoi genitori sono contadini, che da quelle parti vuol dire che non solo lavorano il podere da sole a sole, ma lo fanno con una laurea in agronomia, un master in gestione aziendale, sanno smontare e rimontare un trattore da tre tonnellate, disegnano e costruiscono la casa dove vivono.
Essendo il più piccolo di sei fratelli ed essendoci tra questi ben quattro femmine – che lui chiama le bambine, anche se la più grande è già medico – posso ben capire la sua propensione ad andarsene in giro da solo. Nel suo vagabondare qualche volta gradisce fermarsi dai figli dei miei ospiti, giocare con loro, fermarsi a pranzo. Quando lo fa porta sempre qualcosa: dei frutti, dei fiori, notizie dalle tane degli animali. Ora che siamo nella stagione, si presenta sempre con un magnifico mazzo di papaveri e enormi fagotti di ciliegie. Non sempre si ricorda di avvisare a casa, e allora arriva in bicicletta a reclamarlo qualche fratello o la madre, che chiede scusa per lui, gli molla due scapaccioni e lo spedisce a fare la doccia, i compiti, e tutto il resto. Naturalmente i fratelli sono più maneschi della madre, ma lui non teme nessuno; incassa la punizione senza una lacrima o una lamentela, fila via e l’indomani è di nuovo sulle tracce di qualche cosa di interessante, sempre ricciuto, accaldato, entusiasta. Non solo è curioso, ma anche intelligente e duttile. Gli ho chiesto cosa avrebbe desiderato fare dopo la scuola; lui ci ha pensato su e ha dichiarato – con quel suo accento romagnolo colmo di labiali risucchiate – che la sua prima scelta sarebbe fare il carabiniere, ma siccome capisce che è un lavoro molto pericoloso, come soluzione di ripiego gli andrebbe di salvare l’umanità dall’inquinamento. Sue precise parole. Gli ho chiesto se sapeva già come fare per il salvataggio; lui non ha esitato: basta cartacce per la strada, basta acqua sprecata dai rubinetti sempre aperti.
L’altra settimana l’ho visto per la prima volta piangere, e piangeva calde lacrime. Gli ho chiesto spiegazioni e mi ha risposto che non avendo ancora dieci anni gli avevano impedito di dare una mano alla famiglia che al completo stava facendo la nuova copertura al granaio, una cosa interessantissima. Gli ho spiegato che doveva sentirsi fortunato, che non dovendo lavorare poteva fare cose molto più piacevoli: farsi una gita in bici, leggersi il libro che gli era stato regalato, dare un’occhiata se erano nati i pulcini nel nido sul noce. Ci ha pensato un po’ su e poi si è consolato canticchiando.
A Mirko piace cantare, e quella volta eseguiva nientepopodimeno che un piccolo brano dei Carmina Burana. Gli ho chiesto dove avesse imparato quella musica: la sentiva tutte le mattine perché era nel cd che metteva su l’autista dello scuolabus. Per un attimo ho avuto davanti agli occhi la fantastica immagine di un vecchio pulmino che sfreccia nelle strade sterrate della campagna romagnola carico di bambini bercianti mentre dai finestrini aperti al tepore della primavera si spande nel cielo, sparata a manetta, l’inconfondibile melodia dei Carmina Burana.
A parte il buon rapporto con l’autista del pulmino, Mirko ha qualche increscioso sospeso con la scuola: nella scorsa pagella aveva 5 in condotta. Immagino che sia una rarità tra gli alunni di seconda elementare, comunque è la prima volta che mi capita di parlare con un insufficiente in condotta. Gli ho chiesto cosa avesse mai fatto da meritarsi quel voto. Mi ha risposto che aveva picchiato un bambino. Sì, però lo aveva fatto perché lo aveva sorpreso mentre a sua volta picchiava una bambina, e le bambine bisogna difenderle. Lo sapeva ben lui che doveva difendere quattro sorelle.
Immagino che Mirko, grande e grosso com’è, non sia così attento alla manualità nei suoi rapporti con i coetanei, tutti più minuti di lui. Voglio credere che una decisione così grave i suoi insegnanti l’abbiano presa non solo a seguito di quell’episodio. Tutta la campagna intorno è in trepida attesa della prossima pagella per poter constatare che il problema di Mirko con la condotta scolastica è stato brillantemente superato. Ma mi resta un pensiero. Mirko è un bambino che piacerebbe a tutti avere come amico, un personaggio da racconto edificante, quanto di più vicino al mito dell’educazione che viene dalla natura; se fosse l’interprete di un delizioso film sull’infanzia ci commuoverebbe tutti, adulti e bambini, e certamente potrebbe diventare il beniamino di una mitica serie televisiva del genere “Pippi Calzelunghe”. Ma il suo 5 in condotta ci dice che non c’è posto per lui nella realtà, nella realtà oltre la collina dove abita, le case che gli stanno attorno, il pulmino che lo porta in città.
La realtà non sa cosa farsene di Mirko, e Mirko non sa come starci e dove tenere le mani nella realtà. Pensiamo di volere un mondo a misura di bambino, ma il bambino a cui pensiamo non assomiglia a Mirko, ma a qualcosa di assai più malleabile, e facile da usare.

Tratto da “Il Secolo XIX”, 31 maggio 2009