Maurizio Maggiani: Gutenberg, gli studenti asini e questa Italia che assolve

Questo febbraio, in una interrogazione di verifica di fine quadrimestre in un liceo e all’esame di un corso universitario, due insegnanti diverse di due diverse città hanno posto a due diversi studenti la stessa domanda: cosa deve l’umanità a Gutenberg?
Sono state date due risposte diverse; lo studente liceale ha risposto: ha inventato la macchina per scrivere; l’universitario: ha scritto la Bibbia. Il liceale ha avuto l’insufficienza, l’universitario è stato pregato di rifarsi vivo a una successiva sessione. Di fatto a Gutenberg va attribuita l’invenzione dei caratteri mobili che in combinazione con un adatto torchio tipografico ha dato origine alla stampa, il sistema che, dopo cinque secoli, è rimasto più o meno lo stesso di quello utilizzato per stampare i libri che i due giovani avrebbero dovuto studiare con maggiore applicazione, e questo stesso giornale che state leggendo. Un’invenzione di impatto formidabile, tale da determinare da lì in poi lo sviluppo delle società.
Gutenberg ha inventato qualcosa di più di una macchina per scrivere, anche se non può vantare di aver fatto qualcosa di così spettacolare come aver scritto la Bibbia, libro ben noto nel mondo, non attribuibile ad un unico autore e elaborato nel corso di quasi un millennio, secondo giudei e cristiani in gran parte ispirato direttamente da Iddio.
I due insegnanti non hanno giustamente potuto tollerare un’ignoranza così vistosa, persino offensiva, e hanno sanzionato i due in base alla giustizia scolastica, la blanda giustizia vigente, che non fustiga, non bacchetta e non impone le orecchie d’asino, ma rimanda a ulteriore studio.
Eppure, se guardassimo la faccenda dal punto di vista degli asini, potremmo trovare qualcosa da ridire. Certo, la cassetta dei caratteri da stampa non è la macchina per scrivere, ma è pur sempre una macchina per la scrittura.
No, Gutenberg non ha scritto la Bibbia nel senso vero e proprio, l’ha composta e stampata, ma se oggi volessimo mai leggere la Bibbia, è grazie a lui che potremmo farlo, e praticamente è come se l’avesse scritta. E la pratica è la sostanza delle cose, e la sostanza, a ben vedere, è nemica delle sottigliezze professorali, che a loro volta non sono un gran che di aiuto nella ricerca di un lavoro e in qualsivoglia pratico e vitale contesto.
Se i due asini ne avessero avuto la volontà e i mezzi, se li avessero avuti i loro genitori, un bravo avvocato avrebbe senza troppa difficoltà ottenuto un voto di sufficienza tramite sentenza di tribunale; volendo, avrebbe potuto ottenere persino una sanzione per l’insegnante, sostenendo l’accusa di intenzioni persecutorie, visto che nell’era digitale ormai non ha alcuna importanza né la macchina a stampa, né quella per scrivere, e in quanto alla Bibbia, si lasciassero allo studente e alla privatezza le sue personali convinzioni religiose.
Nulla di tutto questo è accaduto alle insegnanti che mi hanno riferito questa straordinaria coincidenza gutenberghiana, ma la più anziana delle due mi ha confidato di temere che prima o poi accadrà. Io sono propenso a credere che ha ragione di temere gli avvocati assistenti d’esami. Di fronte al dilemma: meglio un figlio istruito o un figlio promosso, credo che oggi la maggioranza dei genitori non avrebbe alcun dubbio. Meglio un figlio promosso, poi si vedrà. E se perché ciò accada è necessario che un avvocato di fiducia segua le interrogazioni, chi ha i mezzi necessari non esiterà a dotarsene.
E penso questo perché credo che il tema non sia semplicemente Gutenberg e le interrogazioni scolastiche, ma più in generale quello che concerne la percezione da parte di una maggioranza della pubblica opinione di legge e di diritto. Dove la legge che boccia gli asini deve soccombere al diritto degli asini a cavarsela. Una società che non sente né la vocazione né la necessità pratica di accettare l’antico principio “dura lex sed lex”, ma che si propone come potenziale cliente di massa delle prestazioni forensi. Non vedo un popolo assetato di giustizia, ma di difesa, difesa del proprio diritto di resistere alle dure leggi.
Non credo che sia un caso che quella degli avvocati sia la professione di gran lunga più rappresentata nel Parlamento della Repubblica, e neppure che nella carica di ministro della Giustizia ce ne sia uno.
Come ci è ben noto, e ci conforta, a un avvocato non spetta amministrare la giustizia, ma saper ottenere il massimo risarcimento per l’offeso e il minimo della punizione per il reo. Può legittimamente un avvocato ritenere una grande vittoria l’aver conquistato l’assoluzione del suo assistito, palesemente reo, facendo invalidare gli atti che lo accusano perché, mettiamo, la citazione in giudizio è stata consegnata un giorno dopo il dovuto, anche se questa è, ovviamente, una grande sconfitta per l’offeso e per la giustizia. Ma pare che sia più urgente trovarci un buon avvocato che darci buone leggi; come se, qualunque sia la legge, si sia addivenuti alla coscienza di massa di essere, tutti e ciascuno, parte lesa. Come parte lesa, a pensarci bene, sono gli asini di Gutenberg.

Tratto da “Il Secolo XIX”, 21 febbraio 2010