Maurizio Maggiani: Genova. Una città così poco italiana
Dunque c’è questa indagine Demoskopea sulla percezione che dei genovesi ha il resto d’Italia. Ecco il risultato. Visti dagli altri, i genovesi sono, in ordine decrescente: colti (67% delle risposte), moderni (57%), orgogliosi (56%), taccagni (50%), tradizionalisti (39%) e riservati (solo il 36%). Che dire? Della gran bella gente tutto sommato, no?
Mi piace così tanto questa idea dei genovesi che sono persino spinto a credere che il sondaggio sia veritiero, nonostante esperienza e ragione mi dicano che questa roba sia di solito inventata di sana pianta per gratificare i committenti. Ma è così bello vivere in una città colta e moderna, riservata e tirchia, tradizionalista e orgogliosa! Una città così poco italiana! Quale altra città di quest’Italia può essere definita con queste sei qualità messe assieme? Nessuna, nessuna. Sì, ci sono comunità parecchio tradizionaliste, ce ne sono di orgogliose, qualcuna moderna, qualcuna riservata, nessuna, mi pare colta e taccagna, nessunissima come la Genova di cui sopra. E, comparando le diverse qualità, non vedo nessuna contraddizione tra loro e neppure so vederne la negatività di alcune. Perché si può essere moderni e tradizionalisti, colti e orgogliosi. Perché essere considerati taccagni dagli italiani che si dissipano in glamour da quattro soldi, da un popolo ormai in miseria ma pur sempre in adorazione estatica della pura e stolida immagine di se stesso, assai più che disprezzo ci trovo dentro invidia.
Penso a tutto questo essendo appena arrivato da Amburgo. Amburgo è una città dove mi trovo a mio agio, una città che mi piace, e che ammiro. Dovessi dire il perché, mi risponderei così: Amburgo è colta e moderna, riservata e tirchia, tradizionalista e orgogliosa. Di alcune di queste cose forse un po’ più, di altre un po’ meno di Genova, ma al mio sguardo sua gemella elettiva. Il fatto è che se penso alle città del mondo dove mi sento di vivere bene scopro che ognuna a suo modo ha le stesse qualità di Genova e Amburgo. Città sorelle. Allora mi chiedo se forse, semplicemente, quelle sei qualità messe assieme non siano altro, nella mia percezione e in quella della Demoskopea, che l’unico modo possibile oggi di vivere con dignitoso benessere, con positivo piacere. È una banalità dire che Genova è molto cambiata in questi ultimi anni. Ma non banale è riflettere sul fatto che il suo cambiamento non sta nelle qualità mutate ma nel diverso uso delle sue qualità. Genova è sempre stata moderna e conservatrice, colta ecc. Ci sono stati periodi nella sua storia che di tutto questo ha saputo che farsene, altri che non ha saputo farsene nulla; in alcuni ha saputo farne buon uso, in altri cattivo e pessimo. Tornando da Amburgo e girando ieri mattina per la città presidiata da quest’ultima mostra Arti&Architettura mi è stato facile pensare di aver avuto la fortuna di goderne uno dei suoi periodi buoni. Certo, venivo dall’aver appena visitato il più grande spazio d’arte dell’oggi che io abbia mai visto, certo che sono un criticone, ma mica male, niente affatto male, se solo penso a cosa era la vita culturale di Genova soltanto una decina d’anni or sono. Quando Amburgo, e Madrid e Copenaghen e…e…e…erano lassù, nell’empireo dell’altrove. Fare buon uso di ciò che siamo è più produttivo e creativo che inventarci di essere qualcosa.
Ah, dall’aeroporto a casa in taxi questa volta non mi ci ha portato la solita Punto scassata che mi perseguita da decine di anni, ma una specie di Alfa coupè munita di discoteca tekno sparata a chiodo. Otto minuti di percorso, record assoluto della pista. Ad Amburgo il tragitto inverso l’ha fatto la solita Mercedes nella solita mezz’ora. È vero che Schumacher ha voluto 28 euro e l’anziano amburghese solo la metà, ma la modernità, quando diventa addirittura avanguardia, non ha prezzo.
Tratto da “Il Secolo XIX”, 3 ottobre 2004