Maurizio Maggiani: Da Caserta a mani vuote. Niente disegno, soltanto coreografia

Quando a novembre, a dicembre, sotto Natale e fino alla Befana ti angustiavi perché non capivi, perché non ti facevano capire, perché ti sembrava di aver capito male, o, peggio che mai, ti rodevi nel sospetto che non ci fosse nulla da capire, quando in ascensore con i tuoi vicini, la sera a cena con la tua famiglia, a scarpinare con i tuoi amici, ti ritrovavi con la faccia lunga e lo sguardo obliquo di chi forse ha capito e per questo non ne ha voglia di parlare; quando l’energia propulsiva che ti aveva portato con quello straccio di buone intenzioni che ti erano rimaste tra le mani a votare ancora una volta per la sinistra, per la coalizione di centro e di sinistra, per l’Unione, per l’Ulivo, per Rifo e per la Fava, per la Marghe e per la Rava? ecco, quando tutto quello che nello stato delle cose ti poteva andare di traverso te lo ritrovavi nel gozzo, ti si presentava l’Incaricato ad annunciarti che ci sarebbe stata Caserta.
La Pasqua dopo la passione, l’epifania dopo i presagi, il rinascimento dopo l’evo oscuro. L’Età Nova dove tutto si sarebbe dispiegato nella limpida chiarezza, nella cristallina visione di una vera politica di un vero governo di sviluppo ed equità, di giustizia e progresso. Ti chiedevi cosa sarebbe successo nel consiglio dei ministri eccezionalmente convocato nella reggia di Caserta, e avevi ancora la forza d’animo di risponderti che magari c’era chi le attese le avrebbe soddisfatte, che la ferocia di giudizio che avevi accumulato in anni di feroce iniquità, si sarebbe placata nella visione del Disegno; perché doveva esserci pure un Disegno, saggiamente costruito nei lunghi anni dell’opposizione, anni operosi di riflessione inventiva, di onesto intendimento di accordo, di amorevole passione per ciò che ancora ardeva nella parte migliore del Paese.
E Caserta c’è stata, e Caserta è finita. E tutto quello che mi rimane in mano dei giorni della Rinascenza, della Chiarezza e della Creatività, è la solenne dichiarazione dell’Incaricato degli incaricati che a Caserta è stata messa a punto “l’agenda della crescita”. Il resto si vedrà, il resto è stato preso in esame, il resto vedrete che poi si farà, il Resto è un’immensità, un Oceano, un Purgatorio che avete adocchiato con il fremito angosciato di chi si sporge su un abisso; accalcati sul parapetto delle grandi cascate, vi siete sentiti venir meno. Vivissimi complimenti a lei e signori tutti.
Cretino come sono, stupido idiota come da tempo dovrei sapere di essere, ho passato questi ultimi anni di opposizione e questi ultimi mesi di governo nella convinzione – del tutto fallace e superstiziosa, ora mi è chiaro – che l’agenda dello sviluppo ce l’avevate pronta da un pezzo, e che è stato in virtù della corposa congruità della vostra agenda che vi ho votato e incoraggiato i riottosi a votarvi. Ma guarda! E fino a ieri con cosa avete governato? Con l’agenda del Vittorioso, con la Smemoranda? Con il Calendario di Frate Indovino? È per dirmi questo che avete mobilitato un apparato promozionale che sembra preso pari pari dalla liturgia del governo che vi ha preceduto?
Come un reperto scovato a Palazzo Chigi, abbandonato da qualche parte nell’ambito di un trasloco fatto malvolentieri, avete trovato il “pacchetto comunicazione e reclames” ed vi è parso un peccato buttarlo via? Vivete da tempo nella contrita convinzione che non sapete comunicare e pensate che l’unico modo di non sbagliare nel provarci a farlo è imitare il Grande Comunicatore? Ma scherziamo? Ma lei, signor Primo Incaricato, sa cantare? Sa ballare forse? Sa dire bugie senza cambiare espressione? Sa travestirsi da operaio e in un attimo diventare imprenditore, e poi conversa, pensionato, chitarrista e anacoreta?
L’ho votata, signor Primo Incaricato, nonostante le sue apparenze non particolarmente eccitanti, nella convinzione che nella sostanza lei potesse essere un buon capo del governo. Lei forse pensa che friggere sotto i miei occhi l’aria sublime nella splendida cornice della reggia di Caserta, abbia qualche relazione con la sostanza di un capo di governo? Volevo un governo progressista io; volevo fantasia e rigore, inventiva e ragionevolezza. Volevo prontezza, armonia, e volevo solida sostanza. Sostanza che si tocca, che si vive, che si mangia e che si pensa. Volevo un Disegno non una coreografia. Volevo una cultura nuova non un vecchio spettacolo. Volevo che vi metteste sulla strada a ricostruire un paese, non che vi rinchiudeste in una cabina di regia per cercare di mettervi d’accordo.
Dopo Caserta non ho nulla tra le mie mani da poter spendere ancora in buona volontà. Magari è andata meglio ai tassisti o ai benzinari, magari è andata benissimo a chi tra gli Incaricati era impegnato a trovare una ragione purchessia per constatare la propria esistenza e il permanere del proprio potere. Ma io non sono nessuno di loro.

Tratto da “Il Secolo XIX”, 14 gennaio 2006