Maurizio Maggiani: Così Krusciov accese i miei sogni infantili

Ogni giorno è buono per un anniversario e ti capita così di non farci più caso. Se poi l’anniversario è così “pregnante” da ingombrare i media, allora cerchi di tutelarti preventivamente dalle sbobbe cerimoniali e retoriche vedendo di dimenticare ancor prima di ricordare. A volte invece ti viene di ricordare, che tu ci pensi o meno, perché un anniversario ti si può imporre per la sua eccentricità, per la sua estraneità dal contesto che stai vivendo – la tua storia di oggi – e come può farlo una scatola da scarpe zeppa di vecchie fotografie di famiglia, ti riapre lo spazio mentale, e persino quello affettivo, a una corrente di pensieri che ridanno unità alla tua vita, alla percezione che hai della tua vita e della storia in cui è vissuta. Ecco, cinquant’anni fa, la sera del 24 febbraio, ai delegati del XX congresso del Pcus che stava per chiudersi nelle solite liturgie trionfalistiche, venne chiesto di fermarsi ancora un poco. Furono chiuse le porte e consegnato a ciascuno di loro un fascicolo numerato con la consegna di leggerlo e di restituirlo senza farne pubblicità con nessun estraneo. Quel fascicolo conteneva il “rapporto segreto” del segretario Krusciov su Stalin e il culto della personalità. Molti tra i delegati a quel congresso sapevano e immaginavano cosa era accaduto nel tempo della dittatura personale di Joseph Stalin; alcuni, se erano lì a leggerlo e non in un gulag di Siberia o in una fossa comune, dovevano ringraziare solo il caso o la propria capacità di adattamento al peggio, ma per tutti loro leggere quelle pagine scritte dal segretario generale eletto alla sua carica proprio dai gerarchi superstiti dello stalinismo, fu uno choc e una rivoluzione. E lo fu per tutto il mondo. Quella capoccia pelata di un contadino ucraino aveva compiuto l’inimmaginabile. Un sistema ferreo come il bolscevismo russo staliniano poteva rifondarsi, poteva farlo attraverso la critica di se stesso e non con il solito sistema dell’oblio. Una speranza nuova per quanti credevano nell’idea socialista e comunista, una stupefatta sorpresa per gli avversari. E per me? Io avevo cinque anni e ricordo solo che mio padre stava appiccicato alla radio e la radio pronunciava quello strano nome di Krusciov un sacco di volte. Ma già a nove anni avevo un album di figurine dove c’era pure tra i grandi uomini dell’epoca anche la testa pelata. Una delle figurine con cui sono cresciuto. Le tre figurine di un’epoca: Krusciov, papa Giovanni, J. F. Kennedy. Un’epoca che quando avevo quindici anni era già conclusa: morto papa Giovanni, assassinato Kennedy, mandato in campagna Kruscev. Neppure dieci anni, ma bastevoli per far crescere una generazione nella speranza, nell’idea che tutto potesse cambiare e cambiare in meglio, bastava volerlo. Bastava che lo volessero gli uomini. E quelle tre erano figurine di uomini. Umani che volevamo si intendessero tra loro, compagni d’avventura; e, miracolo della loro umanità, si intendevano davvero. Hanno cambiato il mondo? No, non gli è stato concesso, come sappiamo. Avrebbero avuto la forza di farlo se gli fosse stato permesso? Io ho bisogno di pensare di sì. Non più per ciò che è stato o non è stato, ma per quello che potrà ancora essere di me e del mondo. Se sono cresciuto e ora invecchio in una indeflettiblie, e forse imperdonabile, speranzosità, è perché sinceramente lo credo. Credo negli uomini, o nelle figurine. Otto mesi dopo il XX congresso c’è stata l’invasione dell’Ungheria e questo fu il debito che Krusciov dovette pagare ai gerarchi. Ci fu l’invasione della Baia dei Porci, e questo fu il debito che Kennedy dovette pagare alla mafia e all’onnipotente Hoover; debito che fu ritenuto saldato solo a Dallas. Ci fu la crisi dei missili, che, risolta in pace, parve dimostrare che il temperamento degli uomini potesse avere ragione sulla tremenda forza dei loro creditori. Cosa abbia dovuto pagare, e se abbia qualcosa pagato, Papa Giovanni ai nemici del Concilio non lo sappiamo con certezza, ma sappiamo che la Chiesa del Concilio ha contratto con loro debiti che sta pagando decennio dopo decennio. Fosse stato dato a ciascuno di loro un decennio in più da vivere, forse avremmo assistito a una sconfitta intollerabile. Forse sì, forse no. Io voglio di no. E allora mi sono forse costruito un mito con delle figurine? Questo no: se è stato costruito un mito è un mito di uomini, un mito che fa bene. E ciò che di loro ricordo per prima cosa, oggi che un anniversario tra mille mi rimette tra le mani il vecchio album, è un segno, ancora una figurina, della loro umanissima natura. La scarpa di Krusciov battuta sul banco dell’Onu, il discorso sotto la luna di papa Giovanni, il sangue di Kennedy sul tailleur rosa della sua sposa.

Tratto da “Il Secolo XIX”, 26 febbraio 2006