Maurizio Maggiani: Bravo Moretti, lo schifo è comune

Ci sono andato perché mi hanno detto di farlo, e il risultato dell’esserci andato sarà ben bene dispiegato qui di sotto. È l’avvenimento culturale dell’anno, o perlomeno del primo trimestre (visto che amiamo pensare il futuro madido di sorprendenti novità), stagliato controluce negli ultimi bagliori del tramonto dell’Era del Cavaliere. Che fosse l’avvenimento su cui cimentarsi è stato facile rilevarlo da inequivoci segnali. Se n’è parlato assai prima che prendesse la luce e se n’è parlato dove conta parlarne: nei retroscena politici dei giornali. I predestinati che hanno potuto assistere all’anteprima della prima hanno occupato immediatamente le prime pagine dei medesimi. Se il premio Nobel per la fisica più in gamba tra i viventi avesse annunciato una conferenza in cui avrebbe spiegato all’umanità la soluzione della quarta equazione einsteiniana, non avrebbe suscitato in questo Paese, naturalmente nemmeno l’ombra della trepida e preoccupata attesa con cui sono stati accolti gli annunci dell’uscita, della probabile uscita, dell’inopportuna uscita, della quasi certa uscita, della necessaria uscita di un film. Un nuovo film in piena campagna elettorale che non sia visibilmente e inequivocabilmente estraneo alle parti in conflitto dovrebbe essere sottoposto a un accordo parlamentare bipartisan, almeno in questo Paese, naturalmente. C’è chi dice che il clima politico della nazione sia avvelenato; non lo credo: a mio parere il clima politico è putrescente, in avanzato stato di decomposizione, certamente a causa di retrocedenti avvelenamenti. E quando un cadavere sfatto si alza in piedi e non si chiama Lazzaro, fa orrore, e se poi non riesce neppure a fare il suo dovere di zombi, fa ridere. Come nei film del genere nelle parodie del genere. Dunque sono andato a vedere “Il Caimano”, il film di Nanni Moretti di cui tanto si deve parlare. Non ho visto tutti i film di Nanni Moretti, il maggiore regista italiano vivente. Non perché non lo apprezzi, ma sono piuttosto restio a sottopormi volontariamente al trituramento dei testicoli ad opera di manifestazioni della ottava musa. Già ci pensa la vita a partire dal quarto, quinto minuto di veglia mattutina a tartassarmi bene bene, e quando vado al cinema cerco di compiere l’ignobile operazione dello straniamento alienante. Vado, codardamente, in cerca di evasione. Appartengo al ceto pop. I film di Nanni Moretti mi inducono alla riflessione deprimevole, alla crudele autocoscienza, alla frustrante catarsi immedesimativa nell’autore. Cerco di evitare. Non questa volta, per ordine superiore. Ho visto il film alla Spezia nell’unica sala che programmava per la prima nazionale un’unica proiezione. Quando si dice una città vivace e curiosa: neppure era tutto esaurito, ed erano 250 posti a sedere, al massimo 300. Eravamo tra di noi, come si dice: coetanei del regista, fedeli nei secoli a giustizia e libertà, a verità e amore, a legalità e diritto. C’erano pure due politici, ma di secondo piano: un vecchio militante della sinistra, appartato e silente e un redento della destra, meno discreto. Di autonomi incappucciati, di islamici in tenuta da assalto, nemmeno l’ombra; e questo forse andrà riferito al preoccupato ministro dell’Interno che ne dia notizia al preoccupatissimo Dipartimento di Stato. E il film, che di questo bisognerà parlare, no? Mi è piaciuto. Avendo accettato il trattamento triturante, lasciatomi andare all’intenzione punitiva del regista, l’ho visto con melanconico piacere. Ho pure riso; qualche volta torvamente, altre con leggerezza. Di chi ho riso? Ma naturalmente di me, avendo finito da un pezzo le mie lacrime. “Il Caimano” è un film su Berlusconi, come “Il Vangelo secondo Matteo” è un film su Pilato, “Titanic” un film sul comandante del transatlantico, “Ben Hur” un film sull’imperatore Claudio, “I Dieci Comandamenti” sul faraone. “Il Caimano” è un film sulla mia generazione e su come ha ridotto se stessa e il Paese che ha ereditato dai suoi padri. È un film sull’epoca presente e sulle ragioni per cui quest’epoca può ragionevolmente schifare chi la guardi da un angolo pulito del pianeta, o dell’Europa, o dello stesso nostro amato Paese, sempreché ci sia ancora un posto pulito dove fermarsi a guardare senza inzaccherarsi. Se “Il Caimano” fa un discorso politico è semplice e inequivoco: sparite perché non meritate di vivere. Tutti voi, tutti noi. E io lo condivido nei suoi tratti generali. E capisco bene lo sguardo dei bambini del film, che chiede, implora: sparite che almeno abbiamo qualche possibilità di crescere. E se proprio volete restare raccontateci storie, che quelle, se vi impegnate, sono migliori di voi, adulti inetti e inaffidabili. Capite bene perché evito i film di Moretti. Sull’attuale primo ministro mi sono formato un giudizio che non muta da ormai vent’anni; non è un giudizio lusinghiero, ed è duro giudizio, ma è l’uovo che la mia generazione ha covato nella sua insipiente sicumera, la Chimera che ha visto prendere il volo balbettando inette scuse e scusanti. Non è stato Cortéz, ci dicono gli storici, ad aver conquistato un immenso Paese in virtù della crudele volontà sua e dei suoi settecento masnadieri, ma la melanconica, fiacca, irresolutezza dei saggi dell’impero, dediti a leggere negli avvenimenti le cabale di profezie da essi stessi inventate per evitare il giudizio sul loro declino.

Tratto da “Il Secolo XIX”, 26 marzo 2006