Maurizio Maggiani: Biasotti e Pericu ora date il meglio

Si può rincretinire un’intera città, convincere magari un popolo intero a vivere coltivando ossessivamente le proprie paure, evitando la realtà per vagolare negli incubi e nelle utopie ideologiche, regredire civicamente allo stato di poppanti che sgamano la vita strillando “voglio la pappa”? Forse si può. Probabilmente sì. Certamente non qui, non in Liguria, non a Genova.
Ed è una bella notizia, incoraggiante, confortante. E come cittadino attivo mi compiaccio innanzi tutto di questo: che in queste elezioni sia stato sconfitto un sistema di propaganda politica che non è un pensiero, ma puro e semplice disprezzo per i cittadini. Visto che per definizione un cittadino è un adulto, e un adulto non fa della paura, dell’angoscia, dell’ideologia cieca alla realtà gli unici sentimenti per cui val la pena di vivere. E di votare. Dopo di che, essendo un cittadino di sinistra, mi compiaccio di un altro risultato. Oltre al fatto, ovviamente, che il sindaco della città dove vivo è un sindaco che mi piace, e che il suo governo futuro potrebbe piacermi anche quello, l’altro grande conforto che mi hanno procurato è che, nell’ambito di queste elezioni, non si son visti miracoli.
Ho paura dei miracoli, temo i miracoli come li può temere un vecchio dottore teologo della Congregazione per i Santi. I miracoli, quando non sono strazianti folgorazioni dell’anima, tendono ad essere pericolosi abbagli, inganni demoniaci. Nella vita civile i miracoli non guariscono, ma incancreniscono le malattie, non moltiplicano il pane, ma lo sostituiscono con l’illusione della sazietà. Non sarà un caso che Gesù, che di miracoli sapeva il fatto suo, quello civile, politico, di sfamare il popolo lo ha compiuto una sola volta in tutta la sua carriera, sottintendendo, se un po’ lo conosco, che il pane e il pesce bisogna guadagnarselo.
Bene, questa volta miracoli non se ne sono visti. Gli elettori hanno, si, fatto succedere qualcosa, ma qualcosa di assolutamente ragionevole. La sinistra può vantarsi di aver vinto dove ha lavorato bene e continuato a perdere dove non lo ha fatto; o dove non era ragionevole che vincesse. Non si sono disvelati attraverso il voto nuove, definitive ricette, formule, incantesimi. Solo piccoli passi avanti, piccoli passi indietro. Accadimenti su cui discutere, non davanti a cui prostrarsi. Bene, benissimo, l’abbiamo scampata. A un anno dalla più orrenda delle sconfitte la cosa peggiore che potesse capitare alla sinistra sarebbe stato un miracolo, e cessare così da fare l unica cosa buona che ha da fare se un giorno, prima ancora che il leone si corichi con l’agnello, vorrà governare il mio paese. Lavorare tutti i giorni con mostruosa fatica per proporre ai cittadini, agli adulti, idee ragionevoli e franche, progressive e compiute. E ce ne vorrà del tempo, ce ne vorrà un bel po’ prima che la buona maggioranza degli elettori italiani accetti definitivamente la responsabilità dell’età adulta. E smetta di comprare indulgenze dai simoniaci e il paradiso dai venditori di polizze.
Una delle cose più stupide che ho sentito dire al cospetto dei risultati elettorali è stata: Genova è la Stalingrado dei comunisti, l’ultimo focolaio di resistenza alla tendenza generale. A parte ‘sta menata dei comunisti, che ormai deve aver sfinito anche la Madonna della Guardia, l’infelice che ha pronunciato la frase non sa, e dovrebbe saperlo, che a Stalingrado è stata vinta la seconda guerra mondiale, come univoci attestano i giudizi di tutti quelli che l hanno fatta. Io son certo che a Genova, La Spezia, Savona, la sinistra non ha vinto la sua guerra mondiale, ma solo la battaglia per governare quelle città, una piccola tessera di un vasto mosaico. Ha vinto grazie al voto di cittadini maggiorenni che riescono a fare meno della pozione miracolosa, che sanno distinguere tra quello che vorrebbero e ciò che è ragionevolmente possibile. Cittadini moderati e radicali, non di rado assieme eticamente radicali e civicamente moderati.
La Liguria oggi è un buon posto per constatare se la sinistra sa imparare e dopo avere imparato sa anche insegnare. La Liguria è anche adesso un buon posto per la destra. Se la destra vuole governare, e non semplicemente smerciare polizze e indulgenze, si trova nella condizione ideale. Non c’è situazione più creativa e feconda di quella, come la Liguria, dove poteri idealmente contrastanti possono esercitarsi in un confronto quotidiano e concreto. Il presidente della Regione, che conosce la vita, sa che a suo tempo ha praticamente gareggiato da solo, avendo come avversario un ombra fievole in cauto passeggio tra gli ulivi. Oggi ha davanti a se interlocutori un po’ più solidi, anzi, ben piantati. Bella partita, bella sfida. Per fare che? E se la Liguria diventasse davvero un “caso”? Non Stalingrado, mi sa, ma, più modestamente, il posto straordinariamente singolare dove i cittadini eletti hanno deciso, in aperta generosa competizione tra loro, di dare il meglio di se. Convinti, come dovrebbero esserlo, che gli elettori li hanno votati per questo. Se così fosse il “caso” Liguria potrebbe addirittura diventare copertina di Time.

Tratto da “il Secolo XIX”, 30 maggio 2002