Maurizio Maggiani: Altro che banche. Le coop italiane imitino le svizzere
Il movimento cooperativo è una gran bella cosa e gli operai e i contadini di questo Paese ne hanno goduto nei peggiori momenti della loro storia. La Coop, ci mancherebbe, è un punto di riferimento per tutti quanti noi che vogliamo fare una buona spesa e non siamo nababbi. Quando arriva in cassetta la ricca rivista mensile delle offerte speciali ce la sfogliamo con più attenzione di un quotidiano, e con più entusiasmo del catalogo Ikea. Ora c’è un po’ di trambusto per via che alcuni politici di sinistra si sono interessati al fatto che la Coop volesse imbertarsi una grande banca e diventare un gigante finanziario. A me dispiace solo che non ce l’abbia fatta. Non vedevo l’ora di presentarmi agli sportelli di una banca gravida dei principi fondatori del movimento cooperativo, per vedere quanto meglio e con quanto rispetto in più avrebbe trattato le mie dolenti pene finanziarie, frutto, le pene, di una società ingiusta e di un rapace sistema bancario contro cui tanto hanno lottato i fondatori del movimento cooperativo. Oh, mi avrebbe fatto sognare, eccome, una Grande Banca Proletaria. Ma avendo appena trascorso un lungo soggiorno nella Confederazione Elvetica (la Svizzera, detto più banalmente) ed essendo entrato in familiarità con la Migros, il sistema cooperativo svizzero, mi viene irrefrenabile l’impeto di fare una domanda cretina, ma davvero cretina. Perché la Migros (che l’anno scorso ha fatturato un 200 miliardi di franchi, una manciata di noccioline pari a 150 miliardi di euro) si sputtana il plusvalore accumulato in opere di cultura ed educazione invece che cercare di comprarsi una bella e grassa banca; che ne so, l’opulenta Banca del Sangottardo? Oh, è una stranezza mica da niente. Se c’è una cosa che gli svizzeri adorano sono le banche; le banche sono la più grande e potente industria del paese. Cosa può esserci di più attraente per dei giovani e intraprendenti compagni cooperativi elvetici che arraffarsi la banca sotto casa? Per il bene del proletariato. E invece no.Misteriosamente, da cinquanta anni esatti, la Migros sperpera miliardi e miliardi per il suo programma “Percento culturale”. Se siete curiosi, date un’occhiata al suo sito (www.migros.ch) e c’è da rimanere allibiti. Scuole serali per lavoratori, corsi di formazione per giovani, parchi, mostre, concerti, scuole musicali, riviste. E gratis, per i suoi soci. Non se ne capisce il motivo, ma la Migros spende cifre folli per pubblicare una delle più prestigiose, e interessanti, riviste del Paese; tre, addirittura,una per ogni lingua della confederazione. Azione è quella in italiano. Azione è un bel nome all’antica per chi si è riunito in cooperativa per agire, appunto. Evidentemente i cooperativisti elvetici hanno un’idea diversa dai nostri dell’agire e dell’Azione. Sono ancora convinti, mi par di capire, chel’elevazione culturale e il benessere del popolo sia uno dei fini irrinunciabili del movimento cooperativo. Che agire in favore del popolo non si limiti alle offerte speciali e ai prodotti biologicamente controllati; che comunque è un gran bene, ci mancherebbe. Che chi si associa non è semplicemente un cliente nuovo, ma un nuovo aderente a uno spirito d’Azione. Esattamente quello che pensavano i cooperativisti italiani fino ad almeno cinquant’anni fa. Oggi noi siamo più avanti in ogni cosa rispetto agli svizzeri, non c’è dubbio. Anche la cioccolata la facciamo megli odi loro, ormai. Abbiamo un’idea della società più evoluta e moderna ; loro continuano a perdere un sacco di tempo a votare su ogni cosa che un ministro o un borgomastro vogliano proporre,compreso il bilancio e il piano investimenti della Migros, se è per questo. Figuriamoci. Per questa ragione i dirigenti cooperativisti italiani e i loro leader politici di riferimento sanno che l’ultima e definitiva battaglia di classe si gioca a casa del signor Ricucci, non certo nelle scuole, nei parchi, nei musei e in tutte quelle inverosimili, costose, datate idee che fanno delle centinaia dimigliaia di soci della cooperativa Migros i bingo bongo d’Europa, come direbbe il noto statista padano.
Tratto da “Il Secolo XIX”, 17 giugno 2007