Maurizio Maggiani: A San Giovanni ci sono i cattolici ma non c’è Cristo, a piazza Navona ci sono i laici ma non c’è l’Ideale.
Sto ascoltando alla radio le cronache da Roma: il Family Day di piazza San Giovanni, l’Orgoglio Laico di Piazza Navona. Ci sono conduttori che fanno il loro lavoro disbrigandosi tra interventi, canti, interviste, proclami; partecipo di due spettacoli. Uno grande, a San Giovanni, uno più modesto a Piazza Navona. Non è che a piazza Navona siano carenti di ideali abbastanza grandi, è che al mio udito quegli ideali non hanno una voce che sappia alzarsi cristallina, un canto che si dispieghi, una parola in cui possa cogliere la forza di una gioiosa profezia. Sarà un problema di regia?
Il fatto è che mentre ascolto Pecoraro Scanio, degnissima persona, non solo non riesco a farmi venire in mente Martin Luther King, ma nemmeno l’onorevole Fortuna. Penso che il problema sia mio: sono propenso a perdonare molto solo a chi molto ama. E l’amore, tanto per un umano quanto per un’ideale, è passione e struggimento, sentimenti che dalla radio non mi giungono. E non credo che sia colpa del mezzo.
San Giovanni eccita invece la mia curiosità e mi inchiavarda all’ascolto. I politici, come promesso, hanno disdegnato il recinto predisposto e impazzano fiutando i microfoni e alitandoci sopra, ma le voci sono molte e alte e gioiose e difformi; la regia più sensibile ed efficace. Poco profetiche per lo più le voci: forse neanche in San Giovanni è epoca di profeti. Sono i profeti a forgiare le epoche o le epoche a forgiare i profeti? Bisognerebbe capirlo, potersi regolare. Di voci e di canti ce ne sono di belli e di brutti, mi inducono pensieri affettuosi e mi sconcertano. Sento voci di anime innocenti e voci maliziose. Sulla bocca di ognuno, e in molti cuori, la famiglia cristiana. E il Cristo.
Ma il Cristo è qui? Che strano, il Cristo non si è occupato un granché della famiglia. Non ha dettato norme, non ha precostituito modelli. Del resto il suo compito era annunciare la buona novella, il suo mandato era la profezia. Era figlio di una famiglia nata da un matrimonio combinato, come tutte le famiglie della sua epoca. Per molti secoli i suoi seguaci hanno formato famiglie nell’usanza dei loro Paesi e con le regole dei loro ordinamenti; non esisteva un matrimonio cristiano. Parlava di amore, il Cristo, e ha avuto persino la faccia tosta di spiegare al suo dotto ospite fariseo come ritenesse l’amore di una prostituta di gran lunga più grande e prezioso del suo. Spiegò a chi voleva metterlo di mezzo sull’osservanza delle leggi mosaiche, che l’uomo non poteva sciogliere ciò che Dio aveva unito. Ma pensava che Dio, il Padre suo, potesse benedire un matrimonio combinato? O pensava forse che Dio poteva invece benedire due umani che si giurano amore e si promettono per la vita avendo a testimone l’infinito amore del Padre suo e nessun altro?
Non lo so, il Cristo lascia a chi intende seguirlo la responsabilità di interrogarsi. Ma non credo che la mia sia la domanda che si sta ponendo la piazza di San Giovanni. Ecco, lo spettacolo ha le sue regole: non è questo il posto dove fare domande e men che dove farle a se stessi. Solo i profeti pongono domande, non i portavoce. Anche Piazza Navona avrebbe da farsi le sue domande, ma non accadrà. Dovrebbe chiedersi perché il suo pensiero è così debole, la sua voce così flebile, da sprofondare nel nulla al cospetto di un pensiero forte, qualunque sia; fosse anche un pensiero debole pronunciato con forza. I suoi portavoce non sono composti, sono fiacchi; non sono orgogliosi, sono arrabbiati.
Tratto da “Il Secolo XIX”, 13 maggio 2007