Matrimonio e Patrimonio
Ieri in San Giovanni a Roma si è celebrata una nuova edizione del Family Day. Giorno della famiglia suona meno pregnante. Non ha avuto lo smalto e la gloria di passate edizioni, quando con una Giornata della Famiglia si è fermato il parlamento, si è piegato un governo, né l’azzardata escandescenza di quando, obnubilati dal loro stesso tripudio che li portò forse a travisarne il personale ideale familiare, i neo catecumeni intonarono cori di alleluia alla discesa in piazza di Silvio Berlusconi e protesero i loro pargoli alla sua benedicente carezza, fischiando nel contempo sonoramente il timido palesarsi di Romano Prodi, che avrà anche tutti i difetti del mondo, ma in quanto a ideali e condotta familiari è quanto di più rigorosamente cattolico si possa immaginare. No, non cadrà nessun governo dopo questa Giornata, e, forse, il Parlamento non sentirà la necessità di cancellare dal calendario i disegni di legge che minano l’istituzione e l’esistenza stessa della famiglia con lo scellerato proposito di equipararne de iure le unioni contro natura e di varia perversità. Mi sa che se non ne parlo qui, la Giornata va a finire sepolta in mezzo al giornale. Peccato, perché secondo me di famiglia se ne discute troppo poco. Si discute molto di matrimonio, questo sì, ma non è per niente la stessa cosa. Forse che si può separare l’idea, il sentimento, di famiglia dall’istituzione matrimoniale? È difficile anche solo immaginarlo, ma sarebbe un bene, per la famiglia.
Avete mai pensato al significato della parola matrimonio?. Matrimonio è parola latina che sta per “dovere, parte, compito” della madre. Letteralmente, contrarre matrimonio sta per sancire il dovere, la parte, il compito di una donna, essere madre. Procreare. Il matrimonio che ho contratto io, che avete contratto voi davanti a un ufficiale di anagrafe o suo sostituto è l’evoluzione di un’istituzione del diritto romano che aveva come scopo la normalizzazione dell’atto procreativo. Il diritto romano prende molto sul serio questa faccenda del procreare nell’ambito di un’istituzione rigidamente normata, e noi abbiamo continuato a farlo. Infatti è solo da un pugno di anni e dopo molte battaglie che i figli concepiti fuori dall’istituzione matrimoniale godono degli stessi diritti dei cosiddetti “legittimi”. Ma come mai gli antichi romani avevano tutta questa ansia circa il “dovere” della madre? Perché matrimonio è una parola che fa coppia con patrimonio. Patrimonio, è la parte, il compito, il dovere del padre. Sappiamo tutti cosa significhi patrimonio, accumulo, possesso di beni materiali. Il compito del padre è accumulare beni, quello della madre è generare gli eredi. La procreazione normata nel matrimonio garantisce la tutela dell’asse ereditario, la conservazione dei beni generazione dopo generazione, di padre in figlio, maschio, nell’ambito dello stesso nome, dello stesso patronimico. Infatti ai romani non gliene fregava niente di convincere al matrimonio plebei e schiavi, e era abominio bestiale contrarre un matrimonio interclassista, mentre era optimum che i patrimoni di due famiglie patrizie confluissero in un unico asse ereditario, accrescendo, moltiplicando possesso e potere.
Cosa c’entra questo con la famiglia? C’entra se la famiglia è il luogo della parte del padre e della madre, il luogo del possesso e del potere. Ma io non mi sono sposato per questo, e nemmeno la grandissima parte di voi, giusto? Magari molti di noi si sono sposati per amore, per dare a una relazione amorosa anche una figura esteriore, un’immagine celebrante. E questa è una gran novità. Se andate indietro nelle generazioni passate, scoprite facilmente come non ci sia relazione diretta tra amore e matrimonio, come, anzi, fosse autorevolmente sconsigliato metterci troppo sentimento nel matrimonio. Non c’è niente di più destabilizzante dell’amore –lo sappiamo bene e a nostre e altrui spese- e il matrimonio vuole stabilità, vuole certezza. Anche il patrimonio li vuole. Forse che l’istituzione matrimoniale è in cerisi, lo è, perché ci mettiamo troppo amore? O forse perché ci mettiamo troppo poco patrimonio? Forse, sta di fatto che le unioni che ci legano con tanto di certificato non sono di fatto più quel matrimonio che abbiamo ereditato dai latini. Molti tra noi si sono sposati perché non c’è altro modo di avere garantiti dei diritti e dei bisogni che sono propri di una relazione affettiva, una relazione di fatto stabile di suo. Una relazione di assidua e potente familiarità intra e intergenerazionale. La famiglia dove siamo cresciuti, quella dei nostri nonni e bisnonni, non c’è più, non esiste neppure più il luogo dove poterla coltivare, ma esiste sempre il bisogno di costituirne e coltivarne una; un bisogno, direi, naturale. E ci sono e ci saranno nuove forme e modi di soddisfarlo, ci stiamo lavorando, anche quando non ne siamo coscienti. Di ceto, le istituzioni che hanno tanto a cuore la parte della madre e quella del padre non aiutano in nessun modo la parte della famiglia, di quella reale, di quella possibile nel tempo e nelle condizioni dell’oggi e del domani. E la Giornata della Famiglia di questa famiglia non se ne cura. Quelli che chiamano “sterco del demonio” l’unione tra umani dello stesso sesso, pensano che la famiglia che non sia la parte della madre a tutela della parte del padre è contro natura. Si dicono cristiani, ma quando Cristo disse “non sciolga l’uomo ciò che Dio ha unito” aveva in mente suo padre che si occupa di asse ereditario? Per i cristiani Dio è amore, e dunque ciò che Dio unisce non può che essere amore, giusto? E allora se ne facciano una ragione, che dell’amore non se ne può neppure parlare senza esercitare arbitrio e fatuità.
Il Secolo XIX, 21 giugno 2015