Liberazioni
Domani sette maggio, in verità questo solo per noi europei perché per gli americani sarà dopodomani e per i russi addirittura mercoledì, ricorre l’anniversario della liberazione dell’Europa con la resa incondizionata delle forze armate della Germania alla fine della seconda guerra mondiale. È probabile che non gliene freghi a nessuno, già importa ormai a pochi l’anniversario della nostra Liberazione, ma nel caso vorrei offrire sulla circostanza una considerazione non stupidamente celebrativa, magari a beneficio di qualche ragazzo che si trovasse, evenienza forse rara ma non impossibile, questo giornale per le mani; uno di quei ragazzi a cui è destinata la pubblicità governativa che in questi giorni di vigilia intende delucidarli su quanto sono fortunati ad essere europei, là dove la guerra non innalza i suoi ferali vessilli da ormai settant’anni e la prosperità è solo questione di allungare la mano. Ci piace crederlo, vorremmo crederci di più e soprattutto vorremmo che ci credessero le nuove generazioni. Ma sono panzane, storielle che non fanno bene. La storia dell’Europa dopo la sua liberazione, liberata da se stessa, dai mostri che ha generato la sua grande civiltà e il suo immenso potere, non è una gran bella storia. Lo è bella l’idea dell’Europa, il pensiero che la sottende è bello, ciò che potrà essere ci fa persino innamorare, ma non ciò che è stata in questi decenni. Facciamo un gran dire che si è risparmiata la guerra tra i suoi stati, ma dobbiamo anche ricordare che nel frattempo ha ospitato tre dittature fasciste che hanno dichiarato guerra ai loro stessi popoli, e non dimenticare che due delle sue nazioni fondanti hanno messo a ferro e fuoco mezzo continente africano per conservare i loro imperi e l’abominio su cui si sostenevano, incendi che ardono ancora. La liberazione dell’Europa non è un atto definitivo firmato il 7 maggio 1945, ma un processo iniziato quel giorno e non ancora concluso. Troppo potente è la forza del suo passato, duri a morire i suoi mostri; che sono ancora lì, a scavarsi rifugi sotterranei ben celati dove attendere con pazienza una nuova occasione. Che può non tardare se questa stessa Europa non saprà addestrare una generazione di innamorati a saperli riconoscere e a vincerli. Altro che pubblicità progresso.
Il Secolo XIX, 7 maggio 2017