La Zattera della Medusa
La zattera della Medusa è uno dei dipinti più visti e più raccontati del museo del Louvre. È un’opera drammaticamente monumentale, alta cinque metri e larga sette, ed è forse il primo caso, nella storia occidentale almeno, di video giornalismo. Infatti il suo autore, Theodere Géricault, ha inteso non semplicemente ispirarsi, ma riprodurre, un fatto realmente accaduto che ebbe a suo tempo risonanza mondiale. Si trattava del tragico viaggio di una zattera di superstiti della fregata della marina reale di Francia Medusa, avvenuto due anni prima l’esposizione del dipinto, arenata al largo della Mauritania per l’imperizia del suo comandante, un vecchio nobilastro, il cui comando fu grazioso contentino di re Luigi XVIII per i suoi patimenti durante la rivoluzione. Il comandante, ovviamente, e la crema dell’equipaggio si imbarcarono nelle scialuppe e si salvarono tutti quanti, un paio di ufficiali restarono a bordo per salvaguardare la proprietà della nave, gli altri, in numero di 140 furono affidati alla sorte di una zattera. Alla fine del viaggio durato due settimane ne restavano ancora in vita una dozzina. Un giornale riportò le terribili testimonianze dei sopravvissuti e fu grande sensazione e scandalo in tutto il mondo, fino a lambire la stessa persona del re di Francia. « …La zattera condusse i sopravvissuti alle frontiere dell’esperienza umana. Impazziti, assetati e affamati, scannarono gli ammutinati, mangiarono i loro compagni morti e uccisero i più deboli…»
Mi chiedo se si sia discusso di religione durante il tragico viaggio della zattera. Immagino che ne avessero il tempo, volendo. La ciurma della Medusa era multietnica e multireligiosa, composta da tutte le etnie marittime dell’impero. C’erano cristiani, animisti e musulmani. Se c’è stata discussione, forse ha degenerato, i musulmani si sono mangiati i cristiani, i cristiani hanno buttato a mare gli animisti? Non lo so perché le testimonianze del tempo non se ne occupano. Se posso avanzare un’ipotesi, ritengo che non se ne sia parlato perché comunque circostanza del tutto irrilevante. Quando stai impazzendo di sete, quando stai morendo di fame, puoi pensare e dire e fare qualunque cosa, ma in ogni caso stai delirando, ridotto a un essere, animale, precogitante.
Pare invece –e dico “pare” come dissero “pare” i primi report dei giornali del 1816- che in un altro naufragio su un’altra zattera avvenuto solo tre giorni fa, si sia discusso di religione, e i naufraghi musulmani, avendo per la forza del loro fanatismo avuto la meglio sui miti cristiani, ne abbiano gettato a mare una dozzina. Ci sono delle testimonianze, ci sono degli arresti. Col tempo ne sapremo di più, o, cosa non improbabile, forse non ne sapremo più niente, ma intanto unisono si è levato dai media il più drammatico degli allarmi, quello definitivo: quando ci sono i musulmani di mezzo anche l’ultima umanità, quella tra compagni di sventura, viene infranta e violata. Su quel barcone c’erano degli uomini, cristiani, e c’erano degli animali, musulmani. Se ne traggano le inevitabili conseguenze. Siccome le conseguenze sono di ordine, davvero, definitivo, mi sono preso il disturbo di un appuntamento skype con un amico, un vecchio missionario che se ne sta da trent’anni laggiù nell’Africa nera e disperata del delta del Niger. Riferisco -con la dovuta cautela da usarsi quando si tratta di missionari cattolici, famosi per il loro buonismo usque et deinde- la sua idea. Lui pensa che le zattere della Medusa siano sempre le stesse zattere dove non possono che succedere le stesse cose, e trova dolorosamente evidente che lì, tra umani pazzi di paura, di sete e di fame, Dio non riesca a farsi posto. Nessun Dio. Ritiene, sommessamente, che più che una divisione tra cristiani e musulmani sulla zattera della Medusa ci si possa essere divisi, fino ad ammazzarsi, tra chi ha l’acqua e chi non ce l’ha, chi ha un cellulare o del cibo e chi no. Pensa che le antiche diffidenze tra nigeriani e ivoriani, o tra Togo e ghanesi, nella zattera della Medusa possano diventare delirante motivo di efferatezze. Perché i disperati sono disperati e basta, spogliati di umanità. E spogliati di qualunque dio, incapaci di qualunque preghiera.
So bene di espormi, assieme al mio patetico missionario buonista, al ludibrio degli accorti, dei vigili, di quelli che hanno aperto gli occhi sul pericolo globale e mortale della disumanità islamica. E allora è bene che precisi che sì, è verità, verità vera, che i cristiani sono oggetto di persecuzione e martirio dal Pakistan alla Libia, e ovunque possano essere facile bersaglio di plebi ignoranti e crudeli. Quel genere di facile bersaglio che gli europei conoscono bene, avendo avuto costume per parecchi secoli di bersagliare, e martirizzare col fuoco e col ferro e infine col gas, le comunità ebraiche, ad opera delle plebi cristiane ignoranti e crudeli e ben orientate e dirette dai loro prìncipi, laici e clerici, atea genia di affamatori. Questo non giustifica niente, dice solo che non è mai questione di Dio, ma sempre questione di fame, di ignoranza e di prìncipi. In trio o in coppia. Salvo sulla zattera della Medusa, dove non c’è posto che per la disperazione, nera, assoluta, totalizzante.
Il Secolo XIX, 19 aprile