La Presa del Louvre
Ebbene sì, sebbene ormai a una certa età, onusto di anni e di artrosi, mi sono finalmente fatto coraggio e sono entrato al museo nazionale del Louvre, Parigi. Non l’avevo mai fatto. A essere sinceri, un paio di volte nel corso dei decenni mi sono messo in fila, ma senza la convinzione necessaria per restarci più di una mezzoretta. Un vero provinciale -eccomi, presente!- disdegna la fila per il più famoso museo del mondo, e disdegna pure il museo, un po’ troppo famoso, e troppo, davvero troppo affollato di provinciali. Ah, sì, meglio le segrete sciccherie della Parigi del passa parola tra noi tre, quattromila sinceri amanti della cultura, che passa la parola oggi, passala domani, intanto siamo diventati quei trenta o quaranta milioni di sinceri amanti di Trip Advisor, e così ci troviamo tra di noi milioni in coda in certe vie secondarie per adire a sofisticate prelibatezze talmente avvizzite e consunte da farti venire la voglia di cercare un biglietto per Disney word. O per il Louvre, appunto, che oltretutto costa una sciocchezza. Ma guarda, l’ingresso nel meraviglioso tempio dell’arte universale costa un quinto di quello per il contorto mondo disneyano. Senza nemmeno fare la coda, per via del fantastico mondo delle digiprenotazioni. E qui ho fatto un errore. Perché il Louvre incomincia dalla coda. Perché mai, se no, c’è tutta quella gente in fila quando basterebbe un clic? Ma è ovvio, perché mettersi in fila sotto la Piramide è l’introibo ad altare dei. Il Louvre, questo ho capito dopo troppi anni di colpevole ignoranza, non sono quelle due, tre mila opere d’arte immortale, quelle sono solo il contorno, la coreografia. L’essenza, il cuore della materia del Louvre è il Popolo. Il popolo fatto opera d’arte, concorrente da ogni angolo del globo alla più grande performance mai immaginata da mente umana. Il tema della performance è: la Presa del Louvre. Rievocazione quotidiana della Presa della Bastiglia. È lo stesso Popolo, il popolo non cambia. Il popolo innocente, il popolo corrotto, il popolo ignorante, il popolo cafone, il popolo assetato di cultura, il popolo assetato di giustizia, il popolo assetato di ghigliottina, il popolo assetato di Coca Cola, il popolo discinto, il popolo vestito a festa, il popolo silenzioso e composto, il popolo sghignazzante, il popolo indolente e il popolo all’arrembaggio. Il Popolo, noi, io. Come nell’89 si è messo in coda per svaligiare i forni e placare la fame, ora è in coda alla Piramide per depredare e sfamarsi. La lungimiranza dell’Amministrazione della Repubblica lascia senza fiato, se si riflette anche solo un attimo a ciò che offre per 12 euro. Per scelta consapevole e illuminata, nel Louvre il popolo può tutto, gode di libertà inimmaginabili in qualunque museo che si sia proposto di sopravvivere al primo giorno di apertura. Può fotografare ogni cosa con ogni mezzo, può correre e sedersi ovunque, può fare picnic o schiacciare un pisolino, può baciare e baciarsi, perdersi e ritrovarsi, può fare la pipì in centinaia di toilette. E può vedere la Gioconda. Bearsi della Gioconda, rapinare la Gioconda, portarsi via la Gioconda, dentro i cellulari, le telecamere, i tablet, le fotocamere, dentro gli occhi, gli occhi e i ricordi di quando ha visto la Gioconda. Ma sia ben chiaro, la Gioconda non è quell’affare laggiù, quell’affare laggiù può essere in effetti qualunque cosa; la Gioconda è il Popolo che si stringe nella grande sala, il popolo che si fonde in un unico essere, che si scambia gli umori corporei e animali, nel senso dell’anima, che alza unisono il pugno chiuso attorno al visore del telefonino. Dentro quella falange di visori c’è la presa del potere. Una scena che nemmeno Delacroix avrebbe mai saputo dipingere. Incredibilmente per i superficiali, ma ovviamente per chi conosce un po’ delle cose del popolo, alla fine il Popolo sciama via lasciando tutto com’era. La grande opera educatrice della Repubblica nata dalla rivoluzione che, presa la Bastiglia, ha subito messo mano ad aprire il Louvre, la clinica, la stazione termale, il sanatorio, dove tutti i tormenti della presa del potere si placano nell’ineffabile sorriso che, proprio perché manco si vede, è eternamente lì, rivolto a tutti e a ciascuno.
Del resto che avrei potuto vedere in questa memorabile giornata al Louvre, non porto ricordo. Se mi ci metto a pensare so che potrei confondere la Nike con la Venere, la Medusa con la Marianna. Sì, a un certo punto ho visto una cosa che per un attimo mi ha distolto dalla mia parte in seno al Popolo. Un dipinto che mi ha lasciato interdetto e dubbioso. Una annunciazione dove c’è questa Madonna che si ritrae spaventata a morte mentre dal cielo scende in picchiata un angelo Annunciatore che visto così sembra a bordo di una tavola da surf. Scuola toscana del ‘300, credo di ricordare, ma non ci posso mettere la mano sul fuoco.
Il Secolo XIX, 12 aprile 2015