La Compagnia Pietro Chiesa
Il carbone fa schifo e adesso che in porto il suo tempo è finito non c’è che da stare contenti, ma brutto che possa sembrare il carbone ha edificato la modernità e non saremmo niente di quello che siamo se non avessimo imparato a dargli fuoco. È finito il tempo del carbone e son finiti i suoi uomini, s’è spenta la Compagnia Pietro Chiesa, si son spenti i carbuné, e brutti che possano esser sembrati, quegli uomini hanno edificato nella modernità il lavoro, l’arte e la coscienza del lavoro, la disciplina e la forza, dalle loro mani e dalle loro facce nere come tizzoni si è elevata la civiltà del lavoro che riscatta, l’orgoglio degli uomini liberi, uomini in compagna, il progresso dell’umanità. Prima che se ne faccia macchiette per souvenir, ricordiamoci chi sono stati i carbuné, i signori della fatica. Hanno suonato la campana del ‘900, la massa della vile fatica si è emancipata in dignità di ciascuno, si è costituita in Compagnia, hanno inventato lo sciopero generale e la più potente cassa di solidarietà, erano in quattromila e si sono costruiti una cucina che ne nutriva il doppio, la mensa per chiunque avesse fame, hanno decretato la fine della schiavitù della fame e hanno voluto saziare anche le menti, hanno comprato un giornale, un giornale che parlasse per loro e che loro avrebbero potuto leggere, perché leggevano, l’hanno chiamato Il Lavoro, esiste tutt’oggi. E intanto danzavano sulle assi flessibili delle passerelle perché l’abbrivio della loro danza non li faceva schiattare sotto il quintale di carbone che portavano sulle spalle; in porto non c’era lavoro di maggiore fatica, non c’era modo migliore di farlo che non fosse il loro, principi ballerini, la regalità della classe operaia, signorilità di pezzenti in confidenza con la materia più zozza, inzaccherati di fuliggine fino all’ultimo loro giorno, il carbone non ha mai cambiato colore, è rimasto sempre nero. Questa città di Genova è stata grande tra le città del mondo, lo è stata quando ha saputo sostenersi sulle fondamenta della complessità e comprendere in sé i conflitti per farne strumento utensile, capitale e lavoro, prudenza e azzardo, identità e rivoluzione. I carbuné sono stati parte di quelle fondamenta, tolti via la sua storia prende a zoppicare, ma non per questo sarà facile ricordarsene. Questa città ha bisogno di dimenticare il più possibile di sé per poter morire in santa pace, da morta varrà parecchio se è il turismo la buona idea per far tirare a campare seicentomila anime, è ben su questo che prospera il turismo, sulle spoglie, sui resti, sui cadaveri ben conservati.
Il Secolo XIX, 4 febbraio 2018