Kant

Dio mi perdoni, ma la cosa che mi ha veramente colpito del discorso di fine anno del Presidente della Repubblica e nonno, e bisnonno, di tutti gli italiani, Azelio Ciampi, non sono state le sue parole, ma un paio di oggetti che ha messo in mostra sulla sua scrivania. Sull’augusta scrivania c’erano dei libri. Ci sono due scuole di pensiero sulla coreografia dei discorsi ufficiali dei capi di stato e di governo: cannoni o librerie. Il presidente Bush, ad esempio, se deve dire qualcosa di veramente importante si mette in divisa davanti a un’iradiddio di strumenti di distruzione. Il presidente Berlusconi si mette invece in pulloverino davanti a una libreria costruita per l’occasione e riempita con libri ordinati a metraggio. Libri dalla cui lettura, per sua stessa ammissione, rifugge, onde evitare che instillino inutili dubbi nella sua ispirata opera di uomo di azienda e di governo.
I libri Ciampi li ha messi sulla scrivania, e non erano libri finti. Per quel poco che conosco della sua biografia erano libri che ha letto, letto più volte. Libri, per l’occasione, molto significativi; libri, in assoluto molto importanti. Petrarca e Kant. Si, il 2004 è l’anno dei settimo centenario del Petrarca e de secondo centenario di Kant, ma su quella scrivania raccontano molto di più di un’occasione. Il presidente Ciampi è certamente l’uomo che solo e pensoso se ne va per i deserti campi di quest’epoca a passi tardi e lenti, ma ci va avendo nel cuore una legge morale e sopra testa un cielo stellato, sapendo che l’una e l’altro non sono di quest’epoca. Il fatto è che se lo dicesse, se soltanto leggesse davanti al popolo televisivo un paio di pagine di Kant, si aprirebbe, come dicono gli astuti politologi, una crisi istituzionale insanabile. Altro che legge Gasparri.
Si da il caso che Kant sia il filosofo della morale e della ragione. Il suo pensiero pone l’umanità di fronte all’obbligo morale di fare non semplicemente ciò che può, ma ciò che deve. Ciò che deve è liberare se stessa dalla servitù del pensiero e della coscienza, liberare il mondo dalle bestialità del torto e dell’ignoranza. In ogni uomo alberga l’imperativo categorico di agire per il bene, ogni cittadino ha in sé i mezzi morali del discernimento e quelli intellettuali per la propria libertà. Kant è il filosofo che due secoli or sono ha pensato a un’associazione universale degli stati al fine del bene, a un tribunale soprannazionale per giudicare i potenti che nei loro paesi si ritengono al di spora delle leggi.
Visto con gli occhi di Kant questa nostra è un’epoca governata da dei criminali morali. Coscienze criminali che impongono servitù materiali e spirituali in nome della relatività delle leggi e della morale, facendolo con i mezzi spregevoli della forza bruta e della menzogna.
Materiale esplosivo sulla scrivania del nostro caro Presidente. Il quale conosce molto bene il pensiero kantiano, la filosofia fondante dell’Azionismo di cui si sente tuttora militante.
Mio caro Presidente, ma che fiducia? Fiducia in ché, perché, per chi? Concordia con chi in nome di ché? La patria è fatta dell’imperativo morale che alberga nel mio cuore non dagli sbandierinanti scolari e dalle liturgie intorno a un monumento. I simboli sono vuote parole se non li sappiamo trovare nel cielo stellato sopra di noi. La pace è figlia dell’incontro tra la pura ragione e la legge morale. E mi permetta di dubitare, assieme a Kant, che i nostri ragazzi -che poi per fortuna sono uomini fatti- in Iraq servano la pace nel campo arato da una guerra che si è inventata una morale nel corso dei combattimenti. E la stessa alba, Presidente, la vedo io, che sono un privilegiato, smagliante di colori e di promesse, la patisce livida e implacabile il giovane stagionale che per 600 euro al mese si alza alle cinque di mattino per andare a fare il facchino all’aeroporto di Linate.
Il settimanale Spiegel ha chiesto ai massimi filosofi europei che tempi possiamo apettarci. I filosofi si sono augurati un’epoca kantiana, un tempo di ragione e di morale. Son certo che sia lo stesso suo augurio, la stessa sua speranza. Peccato che non lo dica, peccato che non possa dirlo. Onde evitare che possa sembrare il suo un incitamento a delinquere contro gli eletti del popolo. E che qualche ministro tra quelli che presso di lei hanno giurato, chieda, assieme alle sue dimissioni, l’abrogazione dell’Illuminismo, e segnatamente del filosofo Kant, dai libri di testo.

Secolo XIX, 3.01.2004