Insegnare italiano
Si son fatti studi epidemiologici in tutti i paesi dell’OCSE, abbiamo dati certi su milioni di individui raccolti nel corso degli ultimi dieci anni, è dunque sicuro che i giovani della nuova generazione siano in ritardo sui loro coetanei della generazione precedente di tre anni in media. In ritardo su tutto ciò che concerne la relazione con la realtà, la vita, se stessi. Vien da dire che tutto sommato è meglio così, se l’età adulta è questo spettacolo di infantilismo irresponsabile e indecoroso che la generazione dei loro padri propone come stile di vita sociale e affettiva, la generazione della percezione e dell’instabilità, dell’effimero azzardo e della volubile scontentezza. Finché restano bambini conserveranno almeno la serietà propria dell’infanzia, la profondità di sguardo che gli strumenti di obnubilazione digitale ancora non hanno avuto il tempo di resettare. Però ci sono anche le avanguardie, altrimenti non si spiegherebbe il singolare fatto che non incontro che dei ragazzi interessanti e piuttosto avanti in tutti i rami della coscienza e della conoscenza. Ieri mi sono fermato a chiacchierare con degli studenti del liceo linguistico di Faenza che hanno voluto utilizzare il loro tempo di alternanza scuola lavoro insegnando l’italiano in una scuola Penny Wirton, le scuole fondate da Eraldo Affinati per l’alfabetizzazione alla lingua italiana degli immigrati richiedenti protezione; sono scuole rette sull’opera di volontariato e il metodo si insegnamento applicato è un insegnante per un alunno, il metodo di don Milani alla scuola di Barbiana al tempo che i richiedenti protezione erano i figli della miseria nostra. Quei ragazzi sono totalmente privi di un qualche sentimento di timore o paura e abbondanti di curiosità e energia, esattamente l’opposto degli adulti a loro contigui. Ho chiesto a Mariam, quarta liceo, origini marocchine, musulmana osservante dai capelli sciolti, il perché del suo impegno, mi ha risposto “perché la conoscenza è un diritto umano universale”. Ho ricevuto il seguente messaggio da Alberto, quinta liceo e sesto anno di conservatorio, “È stato stupendo lavorare con una persona che mi rispecchia in due tratti fondamentali del mio carattere, l’essere introverso e la voglia smisurata di imparare. Pur nella sua timidezza, ho visto nei suoi occhi il suo desiderio di imparare la nostra lingua, l’ho visto dal suo volto quando non si ricordava una parola, l’ho visto perché non esitava a chiedere il significato delle parole che non conosceva, senza vergognarsi della sua ignoranza”. A quel paese l’età adulta.
Il Secolo XIX, 15 ottobre 2017