Giuramenti
Non so se devo essere così orgoglioso come i miei amici del fatto che Matteo Renzi abbia giurato sulla Costituzione della Repubblica piuttosto che sul Vangelo. I giuramenti, più sacri sono meglio è. Chi non ha niente, neppure un Dio che valga qualcosa agli occhi del mondo, giura sulla testa dei propri figli e non ha niente di più sacro da offrire, ma chi ha una nazione, chi tiene nelle sue mani i destini di un popolo intero, a lui la testa figli non può bastare. E deve poter chiamare a testimone non le generazioni, ma l’eternità. È per questo che il compagno Sadiq Khan si è insediato sindaco di Londra giurando sul Corano; se l’è anche dovuto portare da casa perché il cerimoniale erra impreparato all’evenienza, i suoi predecessori hanno tutti giurato sulla Bibbia. Come i presidenti degli Stati Uniti da George Washington in poi, ad esempio. Perché non c’è niente come una Bibbia, o un Corano, che rappresentino con pari efficacia tattile il sacro e l’eterno. E non è poi così importante che l’uomo che pone la mano sul Libro creda al dio che lo sottende; che quel Libro sia immutabile, inemendabile per l’eternità, come ci dobbiamo aspettare da un giuramento, è un fatto, e un’unicità. A parte forse la Costituzione della Confederazione Elvetica, che è stata proclamata come Patto Eterno, e dopo otto secoli ha dato prova di essere abbastanza prossima all’eternità da aver accesso alla categoria del sacro. Ma le altre costituzioni, no. Se il presidente Andrew Jhonson avesse giurato sulla costituzione, nel suo giuramento non avrebbe compreso il successivo XIV emendamento, che impone per qualsiasi persona sotto la sua giurisdizione l’eguale protezione delle leggi, il cardine su cui poggiano i diritti civili degli americani. E Matteo Renzi ha giurato su una costituzione che, quasi certamente, tra pochi mesi non sarà più la stessa. È una brava persona e non sta a cavillare, ma se fosse più birichino di quello che è potrebbe addirittura farne una questione.
Il Secolo XIX, 15 maggio 2016