Garofano rosso
Temevo che il governo avesse abrogato almeno temporaneamente la Festa del Lavoro per non ombreggiare la concomitante inaugurazione dell’EXPO, ma così non è stato. Qualcuno tra quelli che non erano assieme al primo ministro ad abbracciare il mondo dalle coreografie di cartapesta polimerizzata di Milano era a ingombrare le piazze d’Italia, e nella piazza dove sono passato io ho visto abbracciare se non il mondo qualche amico, qualche compagno, qualche bambino preso al volo mentre scorrazzava con il suo palloncino con su scritto W Il Lavoro. Parola antica, slogan vecchio di cento anni. Ma ero nella piazza di Faenza, una piazza antica, dove succedono cose antiche. Per esempio non c’era soltanto un comizio, ma c’erano anche i garofani rossi. Chi se li ricordava i garofani rossi del Primo Maggio? A me ogni tanto piacerebbe avere un garofano rosso all’occhiello, per il Primo Maggio, per il 25 Aprile, per quando mi sposo, per quando mi piace avere un fiore all’occhiello e basta. Allora vado da un fioraio di Via Venti a prenotarlo. Perché non si usano più da un pezzo i garofani rossi e bisogna proprio prenotarli come una Maserati, e pare che a San Remo non li coltivino più, e chissà dove deve andarli a pescare il fioraio per farmene avere uno, non dico a che prezzo. Forse vengono dagli antipodi? Faenza è un po’ agli antipodi in effetti, è dall’altra parte dell’Appennino, e di garofani ce n’erano da far letto a un fiume, come dicono lì. La gente se li andava a prendere, faceva un’offerta, se ne appuntava sul petto, al manubrio della bicicletta, una ragazza se ne è infilato uno tra i capelli. Non ho fatto caso a quale associazione, o sindacato, o partito o parrocchia, appartenessero i ragazzi che offrivano garofani, non è importante. È bella una piazza fiorita, è bello che si indossino fiori per il Primo Maggio; sono molto, molto all’antica anch’io, come la piazza di Faenza. Che tutt’intorno ai suoi rinascimentali porticati era per altro fiorita di gazebi. Gazebi politici, un po’ come ai tempi dell’antica Atene. Si vota per il sindaco alla fine del mese, e i candidati sono tutti lì, ognuno a ronzare attorno ai suoi ritratti e ai suoi programmi, a volantinare, a cercare di attaccare bottone, a cercare di spiegare. C’è chi si ferma, c’è persino chi rinfaccia al candidato che esibisce lo slogan La Coerenza Premia che col cacchio che sarà premiato, visto che tanto per parlare di coerenza si è imbarcato in lista metà della sua passata opposizione. C’è chi piombando in volata in bicicletta lancia volantini contro il piano dei parcheggi. E non è brutto da vedersi; antico come l’antica Atene ma con la sua bellezza. E intanto a Milano l’EXPO ci dava sotto ad abbracciare il mondo. Perché il mondo non avesse l’impressione di un Paese decadente e dedito a recessivi pensieri di morte, è stato revisionato l’inno nazionale, e così non siam più pronti alla morte l’Italia chiamò, ma pronti alla vita quando l’Italia ci chiama. Un grosso balzo in avanti verso l’avvenire. Ma è così, siam pronti alla vita, e quelli che furon pronti alla morte per l’Italia sono per l’appunto tutti morti e non c’è disponibile nessun turn over per la posizione di patriota. È vero che se al presidente degli USA venisse l’idea balzana di cambiare una virgola a God bless America, o quello francese alla Marsigliese, per non parlare del britannico God save the queen, verrebbero fucilati per alto tradimento senza nemmeno uno straccio di processo, ma come non ammettere che il nostro inno è impresentabile? Vedo sul net che il primo ministro e la sua lady si commuovono nell’udire l’esito di questa storica battaglia culturale contro il gufismo e il menagramismo, e mi fa davvero piacere sapere che è malignità il sospetto che siano privi di civici sentimenti. Intanto da qualche parte Milano brucia. I black block devono godere della stessa ineffabile natura di invincibilità dell’Esercito Islamico, del resto hanno una visione del mondo non dissimile. Finisco il Primo Maggio in treno, tornandomene di qua dove i garofani rossi bisogna prenotarli. Vicino a me una mamma tiene in braccio il suo piccolo, forse di un anno, forse di due, e intanto gli tiene piazzato davanti agli occhi, a un palmo dagli occhi, un tablet dove corrono immagini che fanno strani rumori. Mi spiega che così il bimbo non rompe e viaggiare è un’altra cosa. Ieri sera al ristorante nel tavolo a fianco un bimbetto mangiava con il tablet piazzato davanti, appoggiato alla bottiglia di aranciata irradiava immagini e strani suoni, sua madre e suo padre intanto se ne stavano zitti, testa sul piatto a contemplare un monticello di cappelletti al ragù. Si è fatto un gran parlare questa settimana del video della mamma che molla due schiaffoni al figliolo incamminato a fare casino per le strade di Baltimora. E mi chiedo perché non si trovi in giro una nonna disposta a mollare due schiaffoni alla figlia madre del suo nipotino in tempo perché il pargolo non diventi un idiota che ben che vada, e andrebbe di lusso, tutto quello che gli verrà in mente sarà di andare a bruciare Milano.
Il Secolo XIX, 3 maggio 2015