La sbadata proposta di un gruppo di parlamentari della Repubblica di imporre per legge nelle cerimonie ufficiali Bella al seguito dell’inno nazionale per consuetudine e noto come Fratelli d’Italia, oltre ad attentare alla vita della canzone che è oggi sulla bocca di tutti i movimenti anelanti alla libertà nel vasto mondo, ci ricorda per contrasto che il vigente inno continua a faticare a ficcarsi nella bocca degli italiani, e questo nonostante tutta la buona volontà di presidenti della repubblica, sinceri patrioti e acquiescenti direttori di bande e orchestre. La verità è che proprio non ce la può fare e non si capisce perché dovrebbe. È, nel paese con la più vasta e splendida tradizione canterina, musicalmente bruttino, anzi, proprio brutto, e con un testo incomprensibile per il novantanove per cento degli italiani e persino inaccettabile; chiedete voi a un ragazzo perché dovrebbe andare in giro con la capoccia cinta dell’elmo di Scipio, chiedete a un sincero democratico perché dovrebbe farsi schiavo di Roma, e vediamo cosa hanno da dire. Non c’è un cittadino americano, francese, tedesco, russo, inglese, che abbiano dubbi su una sola parola del loro inno, per non parlare delle musiche, avvolgenti, coinvolgenti, spronanti. Fanno eccezione gli Spagnoli, che per non mettersi nei guai, sulla musica che regalò loro due secoli fa Federico di Prussia hanno deciso di non mettere un testo definitivo, ma di cambiarlo a seconda della temperie e dell’occasione. Ascoltate l’inno argentino anche se Maradona non ve ne può più dare occasione, è bellissimo, direi forse il più bello del mondo se solo conoscessi gli altri 187 accreditati all’ONU. Come si possa pretendere di appassionare un popolo -è questa la ragione di un inno, la chiamata a una passione collettiva- a qualcosa che non capisce e che gli suona male è un mistero, più grande mistero il perché ci si incaponisca a imporglielo. L’inno, su testo del giovane e ardente Mameli e musicato dall’amico Novaro aveva un titolo, Canto degli Italiani, e una funzione, incitarli alla lotta per la liberazione del paese da oppressori nostrani e stranieri, composto da due mazziniani non piacque nemmeno a Mazzini, si dice che Garibaldi lo fischiettasse durante la difesa della repubblica romana, che la gran parte degli italiani manco sa che fosse esistita e dove Mameli morì nell’ultima disperata battaglia; ma in verità, appena ne ebbe il tempo, il Generale se ne fece comporre uno dal Mercantini; per inciso, è molto bello ed orecchiabile, e è stato molto più cantato nelle battaglie militari e politiche, il suo difetto è che, nonostante piacesse anche a Benito Mussolini, suppura comunismo, e dunque improponibile come inno nazionale. È interessante il fatto che Novaro, Mameli e Mercantini fossero tutti genovesi, quindi è sulla città di Genova e dei suoi talenti che grava il peso; un’idea che mi viene lì per lì è di chiedere a Gino Paoli un nuovo inno nazionale, e comunque piuttosto che Fratelli d’Italia tutto sommato andrebbe meglio Sapore di Sale. Comunque sia, non sta scritto nell’intenzione e nemmeno nella legge che il Canto degli Italiani sia il nostro inno nazionale. Allora mettiamoci mano, apriamo un dibattitone nazionale, facciamo concorsi, apriamo consultazioni. Sempre che gli italiani se lo meritino un inno nazionale; a ogni indagine sul campo risulta vincente, a parte gli spiritosi che propongono O Sole Mio, Va Pensiero, il famoso coro verdiano, il che dimostra dolorosamente l’analfabetismo di andata e di ritorno di questo disgraziato nostro Paese. Si dà il caso che Va Pensiero sia l’inno di un popolo senza patria, o mia patria sì bella e perduta, farne l’inno nazionale sarebbe come sancire il fallimento della nazione. Il che non ci farebbe fare una gran bella figura nemmeno ai campionati di calcio.