Democratia

Se avete il vostro passaporto per le mani, dateci un’occhiata. La prima pagina vi dice che il vostro è un passaporto europeo intestato a un cittadino italiano. Il fatto che siete cittadini italiani viene ribadito il tutte le lingue dell’Unione. Sono inezie a cui non si fa mai caso, ma questa è una mattina speciale, e allora guardate come si dice Repubblica Italiana in greco. Si dice, traslitterando come posso in caratteri latini: Italike Democratia. Vorrà pur dire qualcosa che nella lingua greca non sia dato altro modo di essere cosa pubblica se non nella forma del potere del popolo. E il potere, krateo, sta a sua volta per discernimento, scelta, nel greco arcaico dividere il grano dalla pula. Vorrà pur dire qualcosa questa mattina che i greci, il popolo greco, un intero popolo – il mio amico Kristos mi dice che in tutta Atene non c’è una sola persona che sia rimasta in casa, tutta Atene è da due giorni a presidiare l’agorà- si è messo in fila per andare in processione solenne al tempio del suo dio, la Democratia. Lo fa dopo che tutti, ma proprio tutti i governanti europei e le banche del mondo intero gli han detto in tutte le lingue di lasciar perdere. Una pagliacciata, droga del popolo, una mossa azzardata, eccetera eccetera. Una mossa azzardata è stato il cauto commento negativo del nostro primo ministro. Ma certo che ciò che va facendo stamattina il popolo greco è un azzardo. La democrazia è un azzardo, come negarlo? Inventando la democrazia gli ateniesi hanno inventato anche un sacco di effetti collaterali indesiderabili. Hanno inventato Alcibiade, ovvero il populismo, il trasformismo, il tradimento, la corruzione, il cinismo morale, il furto sistematico della cosa pubblica, la simonia. Ben che vada, sanzionava il saggio Platone, la democrazia è il migliore dei peggiori sistemi di governo. E dunque? Esistono altri sistemi da quello democratico, meno azzardati, sono stati collaudati nel corso del tempo, hanno dato i loro frutti, sono ben descritti; volendo, li ricordiamo tutti. Volendo possiamo tornarci sopra, inventarne di nuovi, ma se un primo ministro, o qualunque altro pubblico rappresentante del popolo eletto per via democratica, sostiene che l’esercizio più ovvio della democrazia, l’esplicazione del potere di discernimento, è un azzardo, allora è due cose assieme: un traditore e un azzardo, visto che egli stesso è lì per un gesto azzardato del popolo che lo ha eletto. La democrazia tradita è una vecchia storia di questa repubblica e di ogni altra; democrazia sì, ma fino a un certo punto. Quale punto? Va scelto di volta in volta, pare. Ad esempio non è sembrato un azzardo ad alcuni paesi, Francia e Olanda ad esempio, chiedere al popolo di pronunciarsi sulla Costituzione europea, come a dire la più alta e nobile istanza dell’Unione, lo è sembrato invece all’Italia. Forse perché i previsti esiti del referendum garbavano ai governi che l’hanno indetto e sarebbero dispiaciuti al governo italiano? Probabile. Di fatto, la democrazia fino a un certo punto è l’unica accezione vigente in Europa e, per quello che ne so, nel mondo intero. Tranne in Grecia, naturalmente, oggi. In Grecia hanno questa fissazione della Democrazia, che li porterà, già da questa notte, alla rovina certa. Che romantici però. La storia della Grecia è tutta quanta una storia romantica, chiedetelo a lord Byron. Tranne le loro piccole ombre, i loro piccoli massacri di inermi, i loro colpi gobbi, ma quale popolo è immacolato? Come gesto estremo di romanticismo oggi andranno a decidere se accettare o no le condizioni loro imposte dall’Europa per risolvere la loro posizione debitoria. Sarà un sacrificio di massa, una ekatombe. Vinca il sì o vinca il no. Perché quello che non hanno il coraggio di dire i sanzionatori dell’azzardo, è che la Grecia è già spacciata, finish, the end. C’è stato qualche erroruccio di valutazione, qualche azzardo nelle previsioni, qualche manovrina errata nelle alte sfere dell’Unione, del Fondo Mondiale, dei governi nazionali, quelli che contano, e tutto quello che potrà fare la nazione e il popolo greco da qui all’eternità è pagare. Pagare gli interessi, gli interessi degli interessi, il capitale mai. Pagare una parte o il tutto, da domani o da dopodomani, ma pagare, e qualunque sia la cifra che pagherà sarà sempre più di quanto possa permettersi qualora volesse investire qualcosina per dare una qualche chance alla propria economia di produrre reddito per nutrire il suo popolo. Ci siamo infilati di nuovo a Versailles, mi dice un signore che fa di mestiere il banchiere. Ovvero, cent’anni fa a Versailles si strozzò di debiti di guerra la Germania, per pura cattiveria e stupidità dei vincitori della guerra mondiale, oggi a Bruxelles per identica cattiveria e stupidità si strozza la Grecia di debiti di pace. Dice lui. Io, che sono un romantico, dico che se devo scegliere tra decidere io stesso di sopprimermi, ora e qui, o aspettare che domani arrivi il boia, allora non ho dubbi, io per me mi schiero alle Termopili. La dignità non dà da mangiare, è vero, ma, come si constata ormai da tempo, nemmeno l’indecoro.

Il Secolo XIX, 5 luglio 2015