Carrozze
Mi pareva di averla già incontrata, non è che ne se ne siano viste tante nell’ultimo secolo di carrozze così. Infatti il tiro a sei più scandaloso d’Italia l’avevo già visto, eccome, e si può vedere ancora cercando sul net il documentario dei funerali del principe De Curtis celebrati nel lontano ’67. Quei funerali, lo ricordo, commossero tutta Napoli e il Paese intero, me adolescente compreso, e quella carrozza così pomposa e così poco elegante, così vistosa e demodé, con i cavalli tutti impennacchiati e i vetturini in marsina e cilindro infiocchettati a lutto sembrava così pateticamente, teneramente adatta a portare all’altro mondo, chissà che mondo, il re del cinema delle risate, come allora il popolo pensava che fosse Totò, prima che diventasse l’idolo delle adoranti frenesie intellettuali dei critici cinematografici molto impegnati. Allora furono i funerali di un principe, oggi di uno zingaro, ma se oggi quella carrozza fa schifo, se oggi è l’immagine più efficace dell’immondo cattivo gusto insito nella natura stessa di un tipo losco -un losco individuo che in spregio alla casta dignità della città eterna è stato proclamato dai sui sodali e parenti re di Roma, quando persino Claudio Villa non è asceso oltre il titolo di Reuccio- non c’è nessuna ragione perché allora sembrasse così bella, così adatta, così pertinente per un uomo che era così buono e così caro a grandi e piccini. A meno che non sia il contenuto a determinare la qualità del contenitore, esattamente l’opposto di quello che siamo portati a credere da secoli, ovvero che è l‘abito che fa il monaco. Del resto, il tiro a sei dello scandalo mi ha portato alla memoria altre due carrozze che gli assomigliano parecchio. La carrozza di Elisabetta II, che la regina usa per condursi al Parlamento con altrettanto seguito di paggi e vetturali infiocchettati e impennacchiati e la carrozza con cui Cenerentola si reca al ballo reale nella notte del suo destino regale, anche lei con il suo seguito impiumazzato. Come possono mai sembrarci eleganti e dignitose e di buon gusto, e concernente il corteo che le mette in marcia, se non per l’accondiscendenza o per la simpatia che proviamo per il loro contenuto? Nell’epoca delle repubbliche i re e le regine piacciono sempre di più e le principesse delle favole, soprattutto se sorte dai ripostigli, sono sempre piaciute e sempre piaceranno. Dunque, è sempre il contenuto che l’ha vinta sul contenitore, anche se siamo convinti del contrario. Infatti, altro motivo di ribrezzo nell’ambito del funerale scandaloso è stata l’esecuzione del motivo tratto dalla colonna del film Il Padrino, Speak Softly Love, autore Nino Rota, canzone che gli avrebbe valso l’oscar se la giuria non si fosse accorta che Rota aveva già usato il motivo per un altro film. È una bellissima canzone d’amore, che ho ascoltato con piacere e commozione decine di volte, così come milioni e milioni di altre brave persone di sicura fede anti mafiosa. Quando la regina del Regno Unito si presenta alle cerimonie in pompa magna si esegue un brano scritto appositamente dal grande musicista Edgar centocinquant’anni fa e tuttora in voca appropriatamente intitolato Pumps and Circumstances. È una robaccia tronfia e pomposa, appunto, che non fa onore al compositore e al leggendario buon gusto anglosassone. La stessa musica l’ho udita con mio grande raccapriccio in diverse chiese cattoliche d’Italia durante la celebrazione della messa, come se la messa fosse una questione di pompe e circostanze. Non vedo nessuna buona ragione perché quell’obbrobrio musicale sia tollerato e persino gradito e sia invece scandalosa l’esecuzione su un sagrato di una musica d’amore infinitamente più bella e dignitosa. A meno che non sia l’uomo dentro la cassa a determinare la natura e qualità della musica. Sempre lo stesso discorso. L’uomo in questione è stato, come dicevo, un tipo losco, uomo di mala vita. Non un boss mafioso, questo no. No perché non è mai stato condannato per reati di mafia e è morto non attenzionato, non indagato. Magari mafioso lo era, vallo a sapere, ma c’è una buona ragione per cui, mettiamo, un senatore della repubblica è innocente fino al terzo grado di giudizio e uno zingaro no? Tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, ma ci sono cittadini più uguali di altri. Ancora una volta è il contenuto, il senatore, che determina il contenitore, la mafia.
Detto ciò il signor Casamonica mi era antipatico da vivo e non mi è diventato simpatico da morto. Ma non per questo mi devono risultare simpatici i galantuomini che si appostano per rifilare la loro croce al primo delinquente che passa per la via. La croce della città eterna non è il cadavere del signor Casamonica e, se posso dirlo visto che risulta più crocefissibile dello zingaro, del suo sindaco Marino. Il quale è accusato anche di quel funerale, come se il sindaco della capitale dovesse la mattina mettersi lì a sfogliare agli annunci mortuari, controllarli uno per uno tutti i giorni finché non incappa in uno sospetto: toh, è morto il Casamonica, domani fanno i funerali, come saranno? Sarà meglio che vada a dare un’occhiata? Mando un dispaccio al nucleo antimafia? Chiedo istruzioni al Viminale? Ma stiamo scherzando? La croce di Roma è talmente antica e pesante che non c’è individuo che la possa portare, neanche fosse grande e grosso come uno dei torelli eredi Casamonica. Quella croce è stata piallata nella multisecolare corruzione delle corti papaline, cartavetrata nello scandalo unitario della Banca Romana, rifinita a coppale nella repubblica della speculazione palazzinara. Dentro quella carrozza non c’era solo un tipo losco, c’era scritto, guardandoci bene, SPQR, Senatus populusque romano.
Il Secolo XIX, 23 agosto 2015