Butto via tutto!

Mercoledì pomeriggio ho fatto compagnia a una anziana signora che si stava lenendo i suoi non pochi malanni davanti alla tele. Abbiamo fatto un po’ di zapping e abbiamo scoperto che sui tre canali che la signora frequenta con maggiore assiduità andava in onda in sincronia quasi mistica la vibrante, santa protesta delle mamme sarde e lombarde avverso alla scellerata decisione di due presidi di scuola che, uno aveva impedito a una scelta delegazione di mamme di insegnare i canti natalizi ai bimbi durante la ricreazione, l’altra aveva impedito al vescovo di città di ingressare nelle aule avendo egli l’intento di impartire ai pargoli la benedizione natalizia senza ritenersi in dovere di chiedere il permesso. Ovviamente, e naturalmente, questo in nome di una malintesa e autolesionistica considerazione per la multiculturalità e multireligiosità della scuola e/o per la laicità della stessa. Naturalmente, e ovviamente, sul tema si stanno cimentando da una settimana le migliori menti dell’opinionismo mediatico, ma mentre poco o nulla mi cale di questo, cosciente della tragica ininfluenza sia della grandezza che della bassezza culturale delle sopraddette menti, molto mi cale delle mamme. Perché anch’io ho avuto una mamma eziandio, e so, so quanto pesano la loro mente e il loro cuore, il loro grande cuore colmo d’amore, sui destini dei figlioli d’Italia e dunque del Paese presente e a venire. A loto, alle mamme sarde e padane e a tutte le mamme d’Italia che con sincera veemenza manifestano nelle piazze e nei talk show per la salvaguardia nella scuola e nella società dei valori cattolici, dell’identità cattolica, della tradizione catt0lica, delle cerimonie cattoliche –dico propriamente cattoliche perché il definirle cristiane è sfoggio di sineddoche, visto che non risulta voce in capitolo di valdesi, luterani, evangelici, mormoni e delle altre fedi altrettanto cristiane- chiedo loro:
Passi l’obnubilamento del fatto che la religione cattolica non è più religione di stato dal 1985, come non lo è nessun’altra pubblica istituzione, passi perché capisco che la permanenza dell’ora di religione svolta da insegnanti curiali nella pubblica scuola può indurre a un qualche fraintendimento, andando più opportunamente nel privato, e nell’intimo come certe faccende raccomandano, a quando risale l’ultima volta che, mettendo da parte lo smartphone, avete preso in mano un vangelo e vi siete messe a leggerne qualche pagina? E quale l’ultima volta che avete tralasciato il meritato show serale e ritirandovi con il vostro bimbo in un angolo quieto della casa gli avete letto del Vangelo le pagine che più vi hanno colpito, quelle che vi preme gli penetrino nel cuore e vadano a formare l’identità di cristiano, e cattolico, a cui anelate per lui e per la Nazione intera? Perché è lì che sta l’identità, e non nella croce appesa alla catenina d’oro che gli ha regalato la nonna per il battesimo, come appunto ci ha tenuto a precisare Cristo. E ditemi poi, avete già per quest’anno –è accaduto lo scorso anno?- preso il vostro bimbo ben imbacuccato e portato nel bosco a cercare l’erbino da stendere nel presepe? E la ghiaietta per il letto del torrentello? Lo avete portato non dico lungo il periglioso letto di un fiume o torrente, che sarebbe la più adatta, ma in una aiuola di giardinetto privato o municipale, a raccoglierla per tempo perché ben si asciughi? Lo avete poi portato al mercato a scegliere una statuina, la sua statuina, quella del personaggio che più lo affascina? Tutto questo tralasciando amicizie e follower perché una tradizione, cristiana o buddista o persino laica, deve essere alimentata, coltivata, e ben custodita e tramandata perché non muoia o non sia il niente. Abbiate pazienza mamme, ma a vedervi scalmanare alla tele dalla Barbara, che chiamate per nome perché per voi è come una sorella, e da chi manco mi ricordo come si chiama, a sentirvi pontificare di tradizione e identità, mi date idea che se vi leggessero un passo del Vangelo dicendovi che è il Corano, gridereste aiuto il terrorista, e che in fatto di tradizione ben vi sovviene il carrello con i pandori alla crema dell’Esselunga o dell’Ipercoop, che il panettone non è più per la quale. E a pensarci bene, orse tutto quello che volete è che sulle questioni di fede, identità e tradizione ci deve pensare lo stato, che voi avete già dell’altro da fare. E, lasciata la vecchia signora ai suoi non pochi dolori, quello che avrei voluto fare, e che solo l’imperativo morale a cui sono stato diuturnamente educato mi ha impedito di portare a compimento, è di prendere la mia copia del Vangelo, scivertata e impadellata com’è e di andare a buttarla nel secchio, prendere il mio presepe, che mi è costato trent’anni di spese e spesucce, fatiche e invenzioni, gite al bosco e al fiume, e di buttarlo tutto quanto giù dalla finestra. Perché, credetemi, non se ne puole più.

Il secolo XIX, 6 dicembre 2015