Bicicletta politica
Mi sono preso la settimana pasquale e mi ci sono fatto una vacanza lavoro. Mi hanno organizzato una serie di conferenze tra Bari e Otranto e le ho trasformate in una gita in bici, a tappe, e non competitive si intende. Non per vantarmi ma un’idea audace e geniale. Naturalmente niente è a gratis nella vita e la mia audacia ha dovuto fare i conti con un inaspettato fronte maltemposo che in quei giorni ha ridotto la Puglia al comprensorio più freddo d’Europa. Adesso agonizzo nella più tetra sindrome da postumi di assideramento, ma tutto sommato sono tornato vivo, e dunque vittorioso.
Avevo tentato qualcosa del genere vent’anni fa, sempre per Pasqua, ma non aveva funzionato; nel Salento, che era la mia ambita meta, in quei giorni non erano disponibili alberghi o B&B o altro assimilabile a un posto letto, l’industria locale del turismo ancora non aveva fatto mente locale sulle mezze stagioni. Ora tutto è cambiato, e ho trovato ovunque ottimi B&B; anche se, volendo spaccare il capello in quattro, i gestori ancora impreparati al fatto nuovo che non ci sono più le mezze stagioni, e a Pasqua il termometro può anche dire sei gradi senza essere rotto, e un po’ di riscaldamento locali può essere di conforto e di profilassi. Ma veniamo alle cose belle della gita, e di tante ve ne voglio raccontare una.
Giulia e Carlo. Otto giorni in bici con bagaglio appresso, dove nel bagaglio è compreso qualcosa di decente e pulito da mettere in occasione delle conferenze, non sono agevoli. C’è chi va in giro anche un mese con i bagagli insaccati, ma da decenni in Europa si offre un bel servizio di gite con noleggio della bici, offerta di itinerari e carte e navigatore e logistica varia, compresa l’onerosa gestione del bagaglio, così che uno si fa le sue pedalate leggero leggero e all’arrivo in terre sconosciute si trova le sue cose in albergo. In Italia la cosa è rara e quasi sconosciuta, ma laggiù nel tacco d’Italia ci sono Giulia e Carlo che hanno messo su un’impresa efficiente e gioiosa per percorsi che vanno da Matera a Leuca. La cosa in sé non giustificherebbe questa menzione se non fosse la loro storia. Non hanno ancora trent’anni e dieci anni or sono, dunque ventenni, hanno deciso di fare politica. Cosa rara ovunque e in particolare laggiù, avevano deciso di cambiare le cose, se non del mondo intero, almeno del loro paese, del loro paesaggio. Educati bene, buoni genitori, buoni insegnanti. Assieme a un piccolo gruppo di amici hanno preso a darsi da fare, si sono iscritti a un partito di sinistra, o forse di centro sinistra, o forse di centro, dipende da come lo si guarda, e hanno dato inizio a una raffica di buone idee e di buone azioni. Ciò che gli stava più a cuore era il loro territorio, la bonifica del territorio e l’educazione delle masse alla bellezza e alla sua conservazione. Poveri illusi, direte, ma avevano l’attenuante dell’età. Fatto sta che si son dati talmente da fare che in capo a un turno elettorale il Partito li ha fatti tutti secchi, uno via l’altro. Non che il Partito fosse in linea di principio contrario alle loro idee, averci delle idee è sempre una buona cosa e gradita al Partito, ma se poi si vuol mettere mano all’azione, beh, non si può mica consegnare il Partito a dei giovinetti, soprattutto se i lattanti si sono candidati alle elezioni della loro città, e sono stati eletti meglio assai di quanto non si potesse immaginare. Grave errore di un elettorato inconsapevole premiare le illusioni; c’è gente nel Partito assai più esperta e preparata che è lì da decenni a escogitare, ideare, programmare, e se ancora non si è passati all’azione ci sono i suoi buoni motivi, cosa ne possono sapere i giovinetti dei buoni motivi del Partito? Anzi, cosa ne possono sapere i giovinetti della Politica? E infatti il Partito si è ripreso quello che gli spettava, si è perso le elezioni, la città è saldamente in mano agli avversari e la città non se ne duole più di tanto, visto che non si scorgono difformità di alcun genere tra gli uni e gli altri. E Giulia e Carlo si sono fatti imprenditori. E la loro impresa, che è fiorente e come unica pecca ha quella di avere per buona parte utenza estera, non è tutta nel dare in giro biciclette, segnare itinerari e portare bagagli, anzi, questo è in fin dei conti il meno. Prendere ad andare in bici nel paesaggio è il primo passo per bonificare, cogliere la bellezza, educare a riconoscere il brutto e a conservare il bello. Saggiamente lavorano con i bambini e i ragazzini più che con gli adulti, e alla fine fanno da imprenditori quello che non gli hanno fatto fare da “politici”. La qual, cosa è strana, mi direte voi, e infatti lo è. Ma forse che ci sia qualcosa che non suoni strano laggiù come quassù?
Il Secolo XIX, 3 aprile 2016