Bellezza e Giustizia
Li ho origliati mentre passeggiavano per il Porto Antico, due amiconi a braccetto, non così giovani andavano al mio passo, un mingherlino e un tracagnotto, uno ridente, l’altro sul burbero, quel genere di coppia perfetta per la cirulla e la battaglia, per un trabacco e un palcoscenico. Parlavano e parlavano, discutevano tra loro di cose incredibili da credersi in un giorno feriale, avevano un loro lavoro da finire e era un lavoro di bellezza e un lavoro di giustizia, e il ridente parlava della bellezza e il burbero della giustizia, e tutti e due a architettare di come la bellezza dovesse essere giustizia e la giustizia dovesse essere bellezza. E io li a starli a sentire e a lambiccarmi di come due umani potessero ancora parlare liberamente di cose così proibitive e anti patriottiche e infantilmente sovversive. Forse perché sono a Genova, mi dicevo, in questa vecchia città che sta da sette secoli dalla parte sbagliata delle ragioni della storia e è ancora qui, viva al suo modo e signorilmente libera di pensare quello che vuole. E intanto gli amici sono arrivati al Bigo e il mingherlino dai, saliamo e il burbero nah, sarà sicuro? Ma sì, ma no, ma sì; e lì li ho lasciati, a guardare in su, incerti se fare o non fare una gita nel cielo di Genova, loro che abitavano nel cielo di giustizia e bellezza. Li ho ritrovati un po’ dopo che ancora parlavano ma ci saranno state mille persone a sentirli. Parlavano ancora di quel loro lavoro. I loro lavoro è un ospedale per bambini in mezzo all’Uganda, l’Uganda nero come un tizzone, l’ospedale libero e gratuito, e vogliono che sia il più bello possibile perché solo in questo modo sarà il più giusto, e viceversa naturalmente. E dicono che non c’è altro modo giusto di fare, per chiunque e ovunque se ancora c’è l’idea che gli umani nascano uguali, ovunque nascano e da chiunque. E io credo che sia proprio così, e ora che ho appena visto il Tg, ci credo anche di più che un’idea così irragionevolmente eversiva e dispendiosa e antistorica sia l’unica cosa ragionevole da fare perché gli umani abbiano speranza di sopravvivere al mortale stato della loro storia.
Il Secolo XIX, 3 luglio.