La Guerra del Rosmarino
A me piace la piana d’Albenga, perché mi piacciono i carciofi anche quando costano più del filetto e, quando mi prende la malinconia per la contemporaneità, mi piace sedermi su una panca a rivedere la Divina Commedia raccontata al popolo nella pieve di San Giorgio Antico. E invece gli inglesi a chi piacciono? A nessuno, ma proprio a nessuno, nemmeno a se stessi, e infatti hanno inventato lo humor per cercare di riuscire a sopportarsi a vicenda e tirare avanti. Come non avrei potuto dunque infiammarmi alla notizia, purtroppo stupidamente trascurata dai media internazionali, delle soverchianti forze albioniche che hanno dato inizio alla Guerra del Rosmarino, e faccio qui pubblico appello perché si organizzi una brigata internazionale di volenterosi a sostegno dei fratelli d’Albenga, già ora mi offro volontario, se non al fronte, date le mie cagionevoli condizioni, darà il mio contributo alle retrovie. È sempre la solita storia, Golia vuole annientare Davide, Davide coltiva rosmarino da esportazione e a Golia la cosa gli scoccia perché a lui il rosmarino non gli viene bene, e così l’unica cosa che gli viene in mente è di proibire a Davide di far vedere il suo rosmarino in giro e men che mai di venderlo ai suoi sudditi, che fosse per loro del rosmarino di Albenga ne vorrebbero una ciotola a ogni finestra e balcone. Ma Golia è grande grosso e belinone, Davide invece è snello e intelligente, e ha già partorito una manovra strategica geniale e letale, noi ci teniamo il nostro rosmarino? allora che si tengano il loro tè. Golia è di memoria corta, altrimenti dovrebbe ricordarsi che la sua più grande sconfitta negli ultimi secoli gliela hanno inflitta le colonie americane, e la rovinosa ritirata d’America ha preso avvio dal rifiuto dei coloni di fare colazione con il tè della madrepatria. Di lì in poi le colonie ne hanno fatta di strada e ora si chiamano USA e sono tra le nazioni più potenti del mondo, i fratelli d’Albenga aspirano a qualcosa di meno, ma quando si prende l’abbrivio poi dove si arriva si arriva.
Il Secolo XIX, 25 marzo 2018