25 Aprile
Martedì mattina 25 Aprile passando per la Piazza del Popolo di Faenza, ribadisco Popolo, ho scoperto che le autorità municipali avevano inteso festeggiare la ricorrenza della Liberazione con una grande mostra mercato dei floricultori locali. La Piazza del Popolo, ribadisco Popolo, di Faenza è una delle più belle piazze civiche d’Italia, la sua particolare forma oblunga crea una prospettiva unica che si risolve al suo pedice nell’ampio sagrato della chiesa cattedrale. In quella porzione di piazza un po’ discosta di pertinenza della cattedrale, ribadisco cattedrale, martedì 25 Aprile non c’era mercato di fiori ma un’altra iniziativa piuttosto interessante. Il gruppo dei richiedenti asilo ospitati dalla comunità faentina ha messo in scena una specie di performance teatrale in cui, in lingua italiana, ognuno si presentava raccontando la propria storia; sì, molto interessante. Alla fine, nell’andarmene, mi è cascato l’occhio su due ragazzi che parlavano tra loro con grande partecipazione; sembravano due gemelli, un maschio e una femmina praticamente identici, stessa taglia e capigliatura, vestiti nello stesso modo casuale, tutte e due neri come tizzoni. Ma questo a uno sguardo superficiale, in verità i due sono molto diversi; la ragazza è una latinista dottorata a Oxford, nata in Tanzania e adottata in tenera età da una famiglia faentina, il ragazzo un apprendista di fonderia arrivato l’anno scorso dal Senegal dopo un viaggio lungo un anno e appena adottato dalla squadra di rugby locale. Eppure, in qualche modo sono gemelli. Figli della guerra e della fame, è stata data a ambedue una possibilità, seppure al maschio tardiva e disumanamente faticata, e l’hanno sfruttata in modo esemplare. Sono ambedue forti e determinati, volti al futuro ma non immemori del loro passato. E, in particolare, ambedue adeguatamente al corrente che il 25 Aprile non è il mercato dei fiori ma la festa della Liberazione. Anche della loro e forse, disgraziatamente, solo della loro se do un’occhiata al resto della bella Piazza del Popolo.
Il Secolo XIX, 30 aprile 2017