Solo me ne vo’
Domani è il 25 Aprile, domani è il 71° anniversario della Liberazione, domani è festa della Nazione. E allora vi canto una canzone, ho una bella voce, posso farlo senza vergogna. E, devo dirlo, è una vecchia canzone, vecchissima come la Liberazione, l’ho imparata da mio padre che ero ancora bambino, so che non pochi lettori hanno gli anni necessari a ricordarla, spero che qualche lettore sia così giovane da doversi applicare in una facile ricerca sul net. Ora comincio, fare conto di sentire la voce un po’ roca e tenebrosa di un baritono che fuma da cinquant’anni; i vecchi canticchino con me, i giovani diano il play nella finestra di YouTube. Ah, un attimo, prima due parole su di lei. È un motivo romantico, la canzone di un amore smarrito, ma non melanconica; anzi, è arrangiata in uno swing impossibilitato alla mestizia. Ecco cosa dice:
Solo me ne vo’ per la città / passo tra la folla che non sa / che non vede il mio dolore / cercando te sognando te / che più non ho./ Ogni viso guardo non sei tu / ogni voce ascolto non sei tu / dove sei perduto amore / ti rivedro’ / ti trovero’ / ti seguiro’
E poi continua.
Il 25 Aprile del 1945 a Radio Milano Libertà il comandante partigiano Sandro Pertini proclama lo sciopero generale insurrezionale, poi cerca un disco da mettere su e siccome non trova niente che gli piace chiede alla fisarmonica e alla chitarra, che sono l’orchestra della radio, di suonare un motivo clandestino molto popolare tra i jazzisti clandestini della città. È questa canzone, un paio di mesi dopo la canterà tutta la Nazione. Ricordatevela per favore, ascoltatela. La canticchiava il 25 Aprile dell’insurrezione generale un uomo che per arrivare a quel microfono ha fatto vent’anni di galera e tre anni di lotta armata, parlo di un combattente, parlo di padre della Patria. E parlo di un giorno di festa che è ancora domani un giorno di vigilia, e ci sveglieremo e saremo ancora un po’ soli, e allora ci metteremo in strada in cerca del perduto amore e dell’insurrezione generale. Oh, sì, ti cercherò, ti rivedrò, ti seguirò.
Il Secolo XIX, 24 aprile 2016