Spazzini

Ho un amico che fa lo spazzino. Dico spazzino, non operatore ecologico, l’operatore ecologico è una voce di qualche documento amministrativo e non esiste nella realtà della strada, nella strada ci sono gli spazzini con il carretto e la scopa che spazzano. Questo mio amico è uomo di rara bontà e si dedica al suo lavoro con appassionata dedizione; reduce da un lungo, tenebroso periodo di disoccupazione vede nello spazzino che è in lui la luce del riscatto. Si alza alle tre e mezzo del mattino per essere puntuale al lavoro, non più giovane e nel pieno dell’età ingrata dell’ipertrofia prostatica, rinuncia alla colazione liquida per non sottrarre tempo al suo impegno nella ricerca di un locale che gli consenta una sia pur veloce minzione, indossa la sua divisa come un militare alla parata ed è in breve tempo diventato un esperto esploratore di interstizi urbani, cacciatore di spazzatura ivi giacente in sonno. La nettezza urbana è la sua redenzione, e dunque la sua gioia. Di una sola cosa si duole e non si da ragione. Nonostante il suo zelo, egli è fatto costantemente bersaglio di ogni genere di improperio, offesa e vituperio da parte dei cittadini di cui egli accudisce le vie. Una sola volta, mi dice, una sola volta una signora si è sporta dalla finestra di casa per chiedermi se volevo un bicchiere d’acqua, gli altri, maschi e femmine, si affacciano o addirittura scendono in strada per dirmi che è sporco qui e sporco là, che gli spazzini sono dei pelandroni incorreggibili, che l’azienda è truffaldina, che è ora di finirla, e così via. Fino alla drammatica mattina, allorquando ha osato gentilmente ma fermamente sanzionare la gentile signora che era solita lanciargli mozziconi di sigaretta per constatare in diretta se avesse provveduto con la dovuta solerzia a raccoglierli, generando con questa sua arditezza la sollevazione degli onesti cittadini dell’intera via. Ora teme, non senza ragione, per sé e per l’azienda per cui lavora. Io gli ho spiegato, avrei dovuto farlo prima, che lo spazzino non è lavoro per animi sensibili. Per quel lavoro occorre la scorza di un infermiere psichiatrico, visto che il suo primo compito non è di raccogliere immondizia materiale ma la risulta delle paranoie monomaniacali aggressive della brava gente. Che vede, che avverte, che sente nell’intoccabile (tocca per l’appunto alla casta degli intoccabili nella pacifica India induista la raccolta della monnezza) laggiù in fondo alla scala degli sfigati, la vittima accessibile a tutti, l’immagine fatta carne inerme dei suoi nemici giurati, degli attentatori alla sua salute e quiete e benessere. Lo spazzino è il sindaco a cui vorresti staccare la testa e ficcarla ai cancelli del comune, l’ufficio delle Entrate che vorresti crocefiggere in toto, il consigliere regionale che vorresti fustigare a sangue, il marito che se la fa con una più giovane di vent’anni e la moglie che se la fa con uno di vent’anni più vecchio, e andrebbero lapidati a morte in piazza. E la pulizia della strada? Che c’entra. Le strade non saranno mai pulite, perché non ci può essere niente di pulito in questo quartiere, in questo paesello, in questa città. Strano che quando arrivano in visita amici da altre città e Paesi trovino Spezia, o Genova, molto pulite, più delle loro città, sempre, mentre noi le vediamo tremendamente sporche, più sporche delle città dei nostri amici. Eh, sì, duole dirlo, ma c’è quel tantino di Stato Islamico nei reconditi interstizi del cuore della brava gente; c’è, in sonno, cattiveria e disperazione, crudeltà e paura, gratuito sadismo e masochismo. E lo spazzino è lì a fare da bersaglio mobile di un esaltante e santo risveglio.
Un astuto sindaco di un paese della provincia bolognese, ha istituito una nuova carica pubblica: direttore dei lavori ad honorem. Insignito della carica è stato un anziano signore che per sei mesi, dall’alba al tramonto senza perdersi un giorno, ha vigilato i lavori e dato appropriati consigli, ha rotto i marroni, agli operai di un cantiere stradale nel centro del paese. Ho visto le immagini della cerimonia, impagabili; il vecchio bardato di elmetto, tuta e scarponi da cantiere nuovi di zecca, il suo diploma tra le mani e un sorriso così. E adesso che gli è stato riconosciuto il ruolo che si merita da sempre e ingiustamente gli è stato negato, farà come tutti i suoi colleghi direttori comandanti: comincerà a prendersela comoda, a non stare sempre lì a rompere e a confidare nel buon senso dei sottoposti. Bisognerebbe generalizzare la pratica, bisognerebbe aggiungere anche la carica di comandante della spazzatura ad honorem. La cooptazione è sempre la soluzione migliore, si sa. Come per ogni altra cosa nostra, l’importante non è che le strade sia davvero pulite, ma che ci sembrino pulite a noi che siamo i comandanti.

Il Secolo XIX, 28 giugno 2015