Io e il Net

Non ho un profilo facebook e non ho un account twitter, non sono iscritto a nessun blog o forum, ho una casella di posta elettronica che cambio periodicamente, allorquando il livello della posta indesiderata oltrepassa la soglia della sopportazione. Questo è il mio stato delle relazioni sociali via net, uno stato primitivo. Ho scelto che sia così, e ho coscienza di ciò che questa scelta mi fa perdere e mi fa guadagnare. In base agli standard correnti sono un isolato, questo lo so. In base ai miei di standard, ho una vita sociale ricchissima, talvolta oltre le mie stesse possibilità di viverla appieno e con l’intensità che merita. Essendomi auto interdetto dai canali di relazione universalmente utilizzati dagli altri umani, mi sono privato della possibilità di “incontrare” alcune centinaia di migliaia di individui da cui potrei venire a sapere di molte cose e a cui potrei farne conoscere altre, escluso dall’eventualità di far parte di infinite opportunità di circuitazione di opinioni e informazioni; escluso dai circuiti, circoli, fraternità, e dalle altre svariate forme di associazione virtuale, estemporanea, plasmatica, che si generano e si rigenerano attorno a idee e opinioni di persone e personalità. Di contro, per il mio lavoro e per il mio piacere incontro, senza virgolette, con assiduità in luoghi familiari o sconosciuti, prefissati o casuali, decine di persone conosciute e sconosciute, in certi particolari momenti anche centinaia, in un anno. Ho con ciascuna di loro esclusivamente relazioni dirette. Parlo, ascolto, guardo e sono guardato, discuto, simpatizzo e antipatizzo di persona, fisicamente. Se ho bisogno di sapere qualcosa o di dire qualcosa, prendo o do un appuntamento, coltivo relazioni socioculturali di carattere tattile, per così dire, conservo lo sguardo di tutti quelli che incontro, la voce, la consistenza della stretta di mano, l’odore, compreso l’odore delle loro parole. Per la gran parte i nuovi sono incontri unici, della durata di un giorno, o di un’ora; una due, tre volte in un anno, in un anno eccezionale, diventano nuove conoscenze e relazioni che perdurano nel tempo, nei decenni. Ieri, ad esempio, uscendo di casa per mezza giornata, facendo un viaggio in auto di un’oretta, ho conosciuto due nuove persone molto interessanti e un nuovo paesaggio. Ho conosciuto un vecchio signore che ha fatto il sindaco del suo paese per 34 anni e un contadino che produce pere e ciliegie biologiche. Con il vecchio ho discusso di politica, ho litigato e ho imparato una quantità di cose, insieme al contadino ho fatto a piedi un lungo tratto dell’argine del fiume Senio per vedere alzarsi le folaghe, ho visto battere l’orzo in un campo grande come un lago da una mietitrebbia che sembrava un’astronave di Star Wars, insieme a tutti e due ho pranzato, ahimè, con anguilla arrosto e rane fritte. E non ho passato un secondo davanti a uno schermo, e per come la vedo io, per come sono fatto io, questo è il genere di relazione con il mondo, e specificatamente con gli umani, che mi serve e mi fa bene, l’unico genere di amicizia che ha un senso pensare di stabilire o di abortire, l’unico modo di conoscere veramente e proficuamente le persone e le cose. Come nei tempi antichi, come tra chi non ha i mezzi per un collegamento alla rete.
Ho fatto questa scelta molto in là nel tempo, dieci anni or sono. Allora tenevo su questo giornale la rubrica delle lettere, che arrivavano via mail o addirittura via poste italiane, spesso manoscritte, sempre firmate tranne le rarissime anonime lettere di sempre; un’esperienza molto bella e formativa. Finché non decidemmo di traslocare sulla rete e stare al passo con i tempi. Accadde che il traffico di commenti aumentò enormemente di volume e diminuì nella stessa misura di contenuto e di natura. In primis accadde che, mentre le lettere che arrivavano alla casella di posta erano dei lettori del giornale, i commenti sul sito lo divennero solo in piccolissima parte. A quelli del net non gliene fregava niente di quello che aveva scritto il XIX, molti di loro non conoscevano nemmeno il giornale. E men che meno conoscevano quello che il sottoscritto su quel giornale aveva scritto. Rapidamente la rubrica delle lettere divenne un posto come tanti per un dibattito tra nick name su molti argomenti, forse interessanti forse no, un dibattito tra centinaia di non lettori di giornale che tendeva a una sintesi agghiacciante. Arrivavano a suo tempo lettere di decine di righe, non di rado un po’ troppe, e si vedeva bene lo sforzo di chi voleva esprimere la propria opinione, porre la domanda, darsi la risposta, si trasformarono in commenti di una, due righe, spesso una manciata di parole buttate lì, a gratis. Non aveva nessun senso. Non lo ha, non per me. Ci impiego mezza giornata per scrivere un articolo che abbia qualche senso e qualche ragione, quando ci riesco; esprimere concetti e avanzare opinioni è per me un esercizio intellettuale e fisico faticoso, la pubblicazione di un giornale è un’impresa faticosissima, rischiosa, estenuante, economicamente micidiale, e tutta questa applicazione va a finire dentro un bidone dove mettere le mani per trovare qualcosa di buono è impresa da cercarobe di discarica. Io ci metto la mia firma e la mia personale responsabilità su quello che scrivo e dovrei rispondere a degli anonimi? Perché? E così ho chiuso con il net. E con quello che il net non può non essere, non può non esserlo perché la rete è il luogo della democrazia totale. E dunque, come notava dolentemente Voltaire, il luogo della prevalenza della mediocrità, o, per dirla più crudamente con Fruttero e Lucentini, il luogo della prevalenza del cretino. Che è il prezzo che la democrazia si fa pagare per essere l’unico sistema sociale dove comunque val la pena di vivere tutti quanti noi. No, Umberto Eco non ha tutti i torti.

Il Secolo XIX 14 giugno 2015