Resurrezione del povero relativo e di quello assoluto
Cari lettori, i miei auguri pasquali. Sul tema della resurrezione, naturalmente. E siccome quest’anno il Primo Maggio non sarà, in via del tutto eccezionale pare, la festa del lavoro ma la festa dell’EXPO –fosse ancora vivo mio padre, gran lavoratore, avrebbe detto al proposito dell’occasione “festa dei mangiasugo”, ma era uomo piuttosto primitivo nell’elaborazione dei suoi giudizi- vorrei utilizzare l’occasione pasquale per raccontare qualcosa della resurrezione per mezzo del lavoro. Il lavoro redime, libera e innalza Lazzaro dalla sua tomba. Non sempre. Sappiamo per certo che era una tragica beffa la scritta sul cancello di Aushwitz. E non tutti hanno la fortuna di chiamarsi Lazzaro, e a pensarci bene non abbiamo avuto più notizie di come Lazzaro se la sia poi passata fuori dal suo sacello. Comunque sia, senza lavoro non c’è vita, poco ma sicuro. E allora vi racconto di Gisella e Cesarino.
Gisella, giovane madre, dopo una vita non facile e non semplice è risorta nel lavoro. È una assistente sociosanitaria domiciliare. Si occupa di chi ha bisogno di assistenza a casa sia sanitaria che sociale, un bel po’ di gente che la passa male nei molti e differenziati modi di passarsela male. Lavora per una cooperativa, una cooperativa di quelle per bene a scanso di equivoci, a cui l’ente pubblico appalta i servizi che in questo modo gli vengono a costare di meno. Conosciamo la storia. Per fare il suo lavoro Gisella ha fatto un corso di 1.200 ore, ha studiato sodo e ha superato brillantemente l’esame che l’ha portata all’assunzione, una tra i pochissimi. Lavora, con un contratto di limpida precarietà, nell’arco di tutta la settimana e per questo guadagna il mese che va bene sui 900/950 €, e il mese che va male sugli 800. Ama il suo lavoro, si fa un mazzo così e se lo fa con grande impegno, ma Gisella è risorta? Quel posto di lavoro è una Pasqua? L’ISTAT dice che la soglia della povertà relativa è contabilizzata oggi a 972,52 euro per una famiglia di due componenti. Dunque, bene che le vada, la Gisella se ne sta sotto il livello di povertà relativa, la povertà che non porta al decesso per denutrizione ma che non consente altro che mangiare lei e suo figlio, non proprio bio, e pagare le bollette e l’affitto di casa.
E ora vi dico di Cesarino, lui che invece è un povero assoluto, visto che non ha reddito e non ha niente di niente. Ha perso il lavoro cinque anni fa e è vecchio, ha 58 anni. La comunità in questi anni ha fatto quel che ha potuto, e cioè poco, ma ora non c’è proprio più niente. Cesarino viene a casa mia a cercare su internet il lavoro che non trova. Lui sarebbe capace di fare, ma chi se lo piglia un vecchio? Siccome è dotato, incredibilmente, di un bel senso dello humor, seppur sempre più tetro, si è appuntato le note di colore della sua ricerca. Lui ricerca nel settore commercio, essendo stato un brillante e famoso commesso nel ramo abbigliamento. Innanzitutto il disoccupato si chiama risorsa. Questo è importante per mettere a suo agio il disoccupato. Dopodiché le aziende evitano il più possibile di indicare l’importo dello stipendio. Preferiscono promettere che: il compenso è di sicuro interesse e comunque commisurato agli skill della risorsa. Eh, lo skill! Il disoccupato è pieno di skill, gronda di skill. In effetti più che commessi: desideriamo incontrare una figura dinamica, con ottime capacità di analisi, predisposto al lavoro per obiettivi e con una forte propensione al problem solving. Passione per il lavoro commerciale e per il contatto con la clientela, interesse per la moda femminile. Età non superiore ai 32 anni, presenza gradevole e immagine coerente con quella aziendale: giovanile, gradevole, curata, ma semplice e discreta, non appariscente. E anche per fare il vice sotto-commesso il candidato ideale deve avere: buon uso del PC, pacchetto Office: Word, Excel, Posta Elettronica; conoscenza della lingua inglese parlata e scritta;
propensione al team working, buono standing;
capacità di gestione dello stress;
resistenza e dinamicità. Eccetera eccetera. La cosa davvero divertente è che quando vai al sodo, quando vai a vedere quanto ti pagano, scopri che sono tutte offerte al limite o sotto il limite della povertà relativa. Ripassate un po’ le qualità e le competenze che si debbono possedere per adire al luminoso avvenire di povero relativo. Certo per Cesarino sarebbe una certa qual resurrezione passare dalla povertà assoluta a quella relativa, ma si chiama Cesarino non si chiama mica Lazzaro. Per lui di Pasqua non se ne parla. Ma sarà forse mai Pasqua vera per la Gisella e per i fortunati estratti alla lotteria dove Cesarino ha il numero sbagliato? Per un povero, anche solo relativo? Il suo lavoro lo redime, lo libera e innalza? È vita la vita di un povero? Che cresce poveramente suo figlio che ha la ragionevole certezza di essere a sua volta un povero, perché è così che butta in questo Paese?
Buona Pasqua a tutti voi, con tutto il cuore.
Il Secolo XIX, 5 aprile 2015