Comunicare

Ho appena chiesto al mio avvocato di fare causa alla Telecom e chiedere congruo risarcimento dei dammi che ha causato alla mia vita e al mio lavoro non garantendomi un servizio continuativo di trasmissione dati e telefonia. In un anno ho avuto quattordici interruzioni del servizio ADSL, internet per capirci, interruzioni della durata di giorni, mentre scrivo siamo al quarto giorno ad esempio, e interruzioni ISDN, telefono, che hanno raggiunto anche la settimana, il mese scorso. Servizi che ho regolarmente pagato e che mai, dico mai, mi sono stati erogati come li ho pagati. Quando pagavo 20 mega me ne davano sette, ora che pago sette me ne danno quattro, quando me li danno. Questo per la mia utenza spezzina. Ne ho altre due. Una genovese che va bene, va bene basta che stia con gli occhi di falco addosso alla bolletta per evitare di pagare una vasta panoplia di servizi truffaldinamente inseriti senza che io ne abbia fatta richiesta, hanno persino provato a farmi pagare il modem che era di mia proprietà, pagato a suo tempo e debitamente fatturato dalla stessa Telecom. E una nella campagna faentina, che anche quella problemi non me ne dà, visto che lì la Telecom manco ci prova a fornire servizi internet a banda stretta, media e larga. Quella campagna non è immersa nel cuore di un lontano parco naturale, ma è al centro del più ricco distretto agricolo d’Italia, dove i contadini avrebbero bisogno della banda larga come delle sementi, visto che dalle aste per assegnare il prodotto alle condizioni meteo, alle rilevazioni satellitari dello stato dei terreni, succede tutto via internet. Là ce la caviamo con un sistema via radio di un gestore locale, che per la natura stessa del sistema, è soggetto a infinite variabili di funzionamento e non può che offrire un servizio di limitata ampiezza.
Detto ciò, so anche che non dovrei citare per danni la Telecom, ma lo Stato. A dire il vero, prima ancora di citare lo Stato, dovrei andare a cercare il grande statista con lo sguardo di pietra, quel primo ministro comunista che ha consegnato per due lire l’azienda di telefonia statale a un’allegra brigata di capitani coraggiosi che hanno preso ad usarla per farci crediti e debiti e ogni sorta di giocherello finanziario ma non certo della comunicazione digitale d’avanguardia, dovrei andare a prendere Massimo D’Alema e mangiargli la mano con cui ditaleggia i suoi twitt. Fatto ciò, è cne lo Stato che me la dovrei prendere. Perché la comunicazione, la disponibilità e l’efficienza della rete comunicativa, è uno dei pilastri della democrazia e dei diritti di cittadinanza. Assieme all’effettiva libertà di movimento, alla concreta possibilità di lavoro, a un alloggio dignitoso, a una assistenza sanitaria effettivamente disponibile e efficiente, a un’istruzione congrua. Il paniere dei beni e dei diritti primari di una democrazia. Puoi anche andare a votare chi ti pare, ma se vivi in una baracca in una periferia da cui non riesci a muoverti, sei un disoccupato con l’enfisema che non ti puoi curare e senza che ti abbiano dato la possibilità di istruirti e non quella di informarti e di comunicare, sai che goduria democratica che ti prende. Ma per tornare nello specifico, se leggerete questo articolo è perché il mio vicino Costantino mi farà accedere alla sua rete, sempre che funzioni anche quella, che sarebbe una novità, e sempre che lui fosse in casa. Ma non sarà l’articolo come l’avrei voluto perché non ho accesso alle informazioni che vorrei avere per renderlo più efficace. Se non lo leggerete, vorrà dire che io non sarà pagato, che continuerà a non potermi informare, non potrò evadere la posta con i miei corrispondenti personali e professionali, eccetera eccetera. Quanti miei diritti sono nelle mani, ostaggio, di un’azienda privata inefficiente? Fate il conto. È mai possibile che dei primari e dei diritti primari siano nella potestà di un privato? È la stessa questione dell’acqua. Comunicare è essenziale come bere. E non può essere che lo Stato, la comunità, non un’azienda dedita al privato profitto, che deve essere responsabile e rispondere dei miei diritti e dei beni che me li garantiscono. E allora cosa ti rispondono? Ti dicono che la comunità non può permettersi questa responsabilità. Perché non ne è capace e perché non ha le risorse necessarie. Non ne è capace, ti dicono, perché tende a delegare per queste alte responsabilità dei delinquenti o degli incapaci. Sarà vero? Non so. Non può permetterselo perché se un prodotto, internet ad esempio, diventa un servizio, allora bisogna che ne godano tutti, e i costi diventano proibitivi. Così ti dicono. Sarà vero? Non so. Rispondete voi. E fatelo ponendovi di fonte non alla mia sfiga telefonico digitale, a quella ci penserà il mio avvocato, ma, a una situazione di questo tipo: se a Monte Cipollino vive una sola famiglia con un solo figlio e quel figlio ha da andare a scuola e la scuola è a trenta chilometri di distanza, glielo garantiamo il suo diritto all’istruzione, noi comunità nazionale, anche se ci costa l’ira d’Iddio? E moltiplicate Monte Cipollino per i milioni di casi riguardanti diritti equipollenti. E poi chiedetevi: i diritti sono diritti o sono dei discorsi? se sono davvero diritti allora è un bel problema, ma andrà pur affrontato e risolto, se sono solo che dei discorsi, allora va bene il nostro primo ministro che tra i molti affascinanti vaticini televisivi ha inserito pure la totale copertura digitale d’Italia entro il 2020 o il 2030, non ricordo e non posso controllare sul net, ma tanto è lo stesso.

Il Secolo XIX, 22 marzo 2015