Primarie PD
Il mio amico Rupert, un compassatissimo prussiano dottorato in teologia a Tubinga, fervido amante dell’Italia e in primis delle Cinque Terre, uomo di straordinaria cultura, poco adatto all’elasticità mentale e assolutamente privo della capacità di vedere le metafore -per intenderci, se gli dici che piove merda lui alza gli occhi in su- questo campione della buona fede se fino a un mese fa mi assillava con angosciati messaggi giornalieri per sapere se effettivamente la Liguria intera stava sprofondando tutt’intera quant’è, letteralmente, sotto il fango delle slavine, or sono due settimane che mi da il tormento per avere notizie approfondite sulle infiltrazioni mafiose nel partito di sinistra che intende continuare a governare la regione. Le notizie corrono, volano, e lui dubita di voler tornare nella nuova Gomorra d’Italia; lui, candido e indefesso elettore SPD, convinto della necessità della sinistra nel piano divino di redenzione dell’umanità. E io mi sarei anche scocciato parecchio di star lì a spiegargli un giorno via l’altro che 1, che la Liguria non è, non ancora, sprofondata per intero, ma che certe giornate di seppur timido sole fanno sperare che almeno qualcosa resterà nella sua attuale terrigna sede. 2, che no, il PD, senza S, non è, non ancora almeno, una delle ditte gestite dalla camorra. Anche perché, se ho da mandargli qualche bella immagine della Liguria all’asciutto, non ne ho del PD, che in effetti è infotografabile, essendo entità e non corpo, e comunque indisponibile a un ritratto purchessia e, in quanto più gassosa che liquida come entità, inadatto a un immagine di sé di una qualche persuasione. Resta il fatto, più ancora doloroso che scocciante, che tutto questo assillarmi del mio amico Rupert mi costringe a ciò che proprio non vorrei, a pensarci su. Io per me avrei già dato per morta da un pezzo ogni mia attesa di redenzione per mano della sinistra, intesa come PD, e intesa come oltre, di qua, di là, di sopra e di sotto il PD. Brutta cosa, ma così è la vita. Perché capita nella vita di una nazione che la sinistra, come partito, come pensiero, come azione, scompaia, si inabissi, si squagli, si decomponga per brevi o lunghi periodi ed ere. Capita in Paraguay, capita nella Nuova Guinea, perché non dovrebbe capitare in Italia? È brutto, lo so, ma sono i corsi della storia, e tutto quello che c’è da fare, per un progressista, è tirare avanti, continuare a essere un progressista in un Paese senza progresso, fidando nella legge morale stretta nel suo cuore e nel cielo stellato sconfinato sopra il suo sguardo. Ma con Rupert devo essere più circostanziato, più tedesco, spiegargli perché non sono andato a votare per le primarie per scegliere il candidato a governare la mia regione, spiegargli cosa è successo mentre io me ne stavo a casa, spiegargli tutto ciò che ai suoi candidi occhi è inspiegabile. Gli ho detto.
Che non sono andato a votare alle primarie del PD perché non simpatizzavo per nessuno dei due concorrenti. Conosco molto poco la signora Paita, troppo poco per simpatizzare o antipatizzare. La sua campagna elettorale non mi ha disvelato nulla che me la facesse conoscere più e meglio. So che è renziana, quello lo so per certo, ed è un dato che alle mie orecchie suona vagamente allarmante; so che è appoggiata dall’uscente presidente della regione, e per come la penso io è un po’ come il bacio della medusa. Conosco molto di più invece il suo concorrente, il signor Sergio Cofferati. Lo conosco abbastanza per averlo votato ad aprile quando si è candidato capolista alle elezioni europee, confidando in un suo evidente interesse, se non forse passione, a rappresentare la Liguria nell’alto consesso. Per questa ragione ho trovato singolare che a distanza di pochi mesi si palesasse invece un suo ardente interesse per presiedere la regione. Come è stato possibile, quale luce può averlo illuminato, folgorato, nel breve tragitto di un’estate? Non me lo sono saputo spiegare, e la sua campagna elettorale all’insegna del “voltare pagina” mi ha confuso, restava l’impressione che si riferisse a qualcun altro, a un personaggio nuovo e inaspettato, come succede quando si volta pagina in un bel romanzo. Di più, i messaggi a suo sostegno che ho ricevuto, erano firmati da brave persone che, poco informato, ero convinto facessero ormai parte di antichi capitoli del romanzo di cui mi si invitava a voltare pagina. Da parte dei sostenitori della signora Paita non ho ricevuto messaggi, e questo, tutto sommato sarebbe potuto essere un titolo a suo favore. Dunque, mi sono astenuto dal partecipare, e non partecipando ho vissuto con una certa tranquillità gli eventi successivi, quelli che tanto hanno interessato i media e tanto allarmano Rupert. No, Rupert, amico mio, non siamo alla mafia, siamo a un partito che non ha più niente di ciò che lo renderebbe costituzionalmente strumento di emancipazione democratica, e usa quel po’ che gli è rimasto per giustificare a sé stesso di esistere. Gli sono rimaste le lotte di potere senza più potere, se non il potere più minuto e indicibile, gli sono rimasti rancori ultradecennali per farsene di nuovi, gli sono rimasti un pugno di iscritti, tutta brava gente mi sa, usati dai loro dirigenti come lo stato maggiore del fuhrer rinserrato nel bunker berlinese usava, delirando di ultime imbattibili divisioni, un manipolo di ragazzini. I candidato Sergio Cofferati ha accusato l’avversaria di utilizzare sporchi voti cinesi e lunedì scorso leggo in questo giornale una lettera della comunità egiziana di Genova che lo invita a rimanere nel partito. Mah, gli egizi sono buoni elettori e i musi gialli sono cattivi elettori? Ma mi faccia il piacere. No Rupert, è solo finita una storia, una storia che è stata un tempo di ardenti passioni, e questo genere di storie non finisce mai bene. Storie che non ti viene davvero voglia di voltare l’ultima pagina.
Secolo XIX, 25 gennaio 2015