Maurizio Maggiani: Rom, tanto c’è il commissario

Io sono totalmente e fiduciosamente d’accordo con l’istituzione di un commissario straordinario per i rom. Ho solo qualche perplessità sul fatto che nella denominazione siano assenti i sinti e i camminanti e i kalderasha, anch’essi assimilabili allo “zingaraggio” e difficilmente distinguibili tra loro a occhio nudo.
Probabilmente è stata scelta l’abbreviazione rom per comodità di sintesi e non ne faccio una questione; questo è il tempo di agire, non di sofisticare. I rom, da qui in avanti sintetizzerò anch’io, sono un grosso problema e hanno un grosso problema. Lo sono e ce l’hanno da qualche decennio, e siccome non si è mai risolto nulla, o pochissimo, in via ordinaria, è necessaria la via straordinaria, e quella di un commissario è la più ovvia. Sempre che il commissario straordinario sia in grado di fare cose straordinarie.
I nomadi sono un problema dal 1945, anno in cui è stata abrogata la legge promulgata nel 1938 nell’ambito del programma fascista di modernizzazione del Paese, legge che imponeva di respingere i nomadi alle frontiere e di internare in apposite strutture quelli già presenti nel territorio italiano. Dal ’45, dunque, ai nomadi di qualsivoglia etnia è consentito il transito e la permanenza sul suolo italico. Cosicché oggi sono presenti circa 160 mila nomadi – fonte Opera Nomadi, Santa Sede – e 70 mila di questi sono addirittura cittadini italiani, perlopiù insediati nelle piccole comunità del centro e sud Italia. Aprendo le frontiere ai nomadi si è aperto anche un problema, non lieve, di cui pare che nessun grande statista del passato repubblicano abbia mai avuto coscienza. Mi spiego con un pratico esempio. Se si decide che è bene che le cicogne passino dal nostro paesello e si fermino a nidificare, per prima cosa non è che ci mettiamo a togliere tutti i camini dai tetti; anzi, predisponiamo appositi posatoi, ben sapendo che le cicogne sono fatte così, che fanno i loro nidi in alto tra i comignoli e non nelle discariche. È un costo che per disinteressato amore della natura il nostro ridente paesello si sobbarca. Abbiamo fatto la stessa cosa per i nomadi? No, mai o quasi mai. Abbiamo consentito loro di varcare le nostre frontiere ma non abbiamo ritenuto di farci carico della loro pura e semplice presenza. Che è fisica e culturale; come i passeri hanno usi diversi dalle cicogne, così i rom hanno modi e cultura diversi dai nostri; non una colpa né loro né nostra, è solo un fatto di cui è ragionevole pensare che fossimo al corrente già da qualche secolo. Non siamo stati disposti a farci carico della loro esistenza, e loro – che non a caso sono in Italia meno numerosi che in qualunque altro Paese europeo- hanno avuto con noi un grosso problema e sono diventati un grosso problema per noi. Eravamo obbligati a occuparcene? No, se non per carità cristiana o per umana solidarietà, tant’è che nessuno è finito sotto processo per mancata assistenza a un nomade. Potevamo semplicemente mantenere in vigore la legge del ’38. Non l’abbiamo fatto chissà perché, forse per un malriposto pudore verso un passato che solo oggi siamo invitati a rivalutare in piena libertà.
Comunque sia i rom restano, pochi ma persistono, e delinquono. Sono naturalmente predisposti al delinquere? Pare di no; l’ultimo articolo scientifico che attesti questa ipotesi è a firma dell’antropologo Licio Cipriani ed è apparso sulla rivista “La Difesa della Razza” ormai 70 anni or sono. Delinquono dunque per occasione, e l’occasione è abbondantemente offerta loro dal fatto che, stupidamente, gli abbiamo dato persino la cittadinanza, ma poi non abbiamo ritenuto che avessero bisogno di altro. Di altro che non potevano – né loro né chiunque altro umano di qualsivoglia etnia – procurarsi da soli. Ad esempio un buon posto dove stare. In questo Paese non riusciamo a creare aree attrezzate per i camperisti, figuriamoci se ci mettiamo ad attrezzare campi per nomadi; non riusciamo a sottrarre alla speculazione un pezzetto di terra decente per farci un parchetto per i nostri figli, figuriamoci se lo facciamo per le roulottes dei figli degli altri. Non riusciamo a riconvertire i nostri impiegati licenziati, come avremmo mai potuto riconvertire ad altro degli stagnari e dei cavallari? A volte capita, ma solo in certe situazioni utopiche. Nell’azienda forestale di un mio amico a Castelnuovo Garfagnana lavorano con profitto dei rom, che hanno avuto case decenti in affitto e l’assistenza di cui necessitano dalle pubbliche strutture. Conoscono le regole a cui devono attenersi e le rispettano, confermano pure i carabinieri; perché ciò sia potuto accadere – ed è accaduto altrove, dice l’attendibile Opera Nomadi – c’è voluta della fatica da investirci, da parte loro e da parte nostra, la fatica di mettere insieme due modi diversi di vivere e trovare un accordo.
È possibile che questo accada in forma sistematica e generale, è possibile che il Commissario straordinario si metta lì a far fare ovunque nel Paese ciò che è stato fatto a Castelnuovo? Neanche per sogno. Questo non è un Paese che abbia voglia di mettersi sul groppone una fatica in più di quelle che ha. Non è un Paese che abbia energie per dedicarsi a qualcosa che non sia arrivare a sera sano e salvo dalle proprie angosce e miserie e paure. Ci manca pure che dobbiamo metterci lì a far star bene i rom, ma ve lo immaginate?
Ah, sostiene l’Opera Nomadi, Santa Sede, che non esiste in Italia un solo caso accertato di rapimento di minore da parte di un nomade. Ma a chi vogliono darla a bere?

Tratto da “Il Secolo XIX”, 18 maggio 2008