Maurizio Maggiani: Signori del Pd sparite prima di essere tolti di mezzo

Ho iniziato la collaborazione a questo giornale otto anni or sono, commentando la sconfitta del centrosinistra alle elezioni regionali, ultima tappa verso la sconfitta alle elezioni politiche del 2001. Questo accadeva dopo che la sinistra aveva governato per anni, al centro e nella regione. In regione perse avendo presentato un candidato privo di qualsivoglia qualità se non quella di corrispondere alla ferrea logica della divisione del potere e delle cariche tra le forze politiche coalizzate, alle politiche per la cocente delusione del suo elettorato maturata nelle ingloriose performance dei diversi governi messi insieme nei cinque anni in cui per la prima volta nella storia repubblicana aveva avuto la possibilità di dimostrare il suo valore, la sua maturità, la sua originalità. Conclusi il mio commento con la seguente invocazione: Fate il piacere: sparite.
Non era un insulto, era solo una buona idea. Chi perde e perde molto – e in quelle circostanze perdeva un immenso patrimonio di aspettative – può ancora salvare l’ultimo bene: la faccia. Persino la plebe, figuriamoci i cittadini, sa apprezzare l’onore di chi ammette la sconfitta e ne trae onorevoli conseguenze. Gli uomini d’onore che perdono si ritirano lasciando dietro di sé i ponti intatti; su quei ponti potranno transitare nuove forze e nuovi uomini, perché è dell’uomo onorevole dedicare le proprie migliori energie a preparare la strada per la generazione che lo sostituirà.
L’idea non parve buona ai destinatari, che, colmi di una supponenza tanto triste quanto ardita – altrimenti definibile come stolida iattanza – non hanno inteso piegarsi di un millimetro alla realtà e all’onore. Sono rimasti tutti a mostrare il petto – glabro e diatonico invero, e dunque pudicamente fasciato in filati di Loro Piana e cachemire – nella certezza di saperla più lunga di chiunque altro, predisponendo rivincite costruite su un suffragio che non hanno mai smesso di ritenere dovuto da quella che hanno sempre chiamato “la nostra gente”, in nome dei “valori” di cui erano gli unici portatori autorizzati. Come se la gente fosse una entità immobile, come se non fosse composta da me e da alcuni altri milioni di individui ognuno con una sua vita tutt’altro che immobile, se non per costrizione. Come se i valori potessero vivere di vita propria, di pura essenza ideologica e non essere materia della vita, che incide e cambia, in meglio, la vita; oggi e non la prossima volta. Ciechi della loro supponenza, negli anni che sono venuti non sono mai stati sfiorati dal sospetto che milioni di individui continuavano a prestare loro il proprio suffragio nella vana speranza che questa generosità potesse essere ricambiata da un qualche sincero slancio di umiltà; e da qualcosa di buono, semplicemente, visibile e vivibile da ognuno di noi. Finché, non senza rabbioso dolore, la “loro”gente ha schiacciato il pulsante: off. E li ha fatti sparire. Dall’orizzonte delle proprie attese, dalle proprie simpatie, dalle proprie necessità.
Si sono dissolti, si stanno dissolvendo, finiranno per dissolversi, disonorevolmente, perché c’è una enorme differenza tra il decidere di sparire ed essere tolti di mezzo. Naturalmente nessuno di loro si è preoccupato di tenere salvi i ponti, qualcuno si è persino occupato di minarli. Naturalmente nessuno tra loro è davvero convinto di meritare di sparire per sempre, e presta ancora la sua voce a un’immagine che ormai non è altro che un’ombra che né in virtù di un patto con il diavolo né con Dio potrebbe mai farsi materia viva.
Parole e immagini, voce e figura, ecco cosa ci hanno offerto in cambio di tutto ciò che si sono presi da ciascun di noi.
In un suo libro – di conversazioni spirituali, non di sociologia o di marketing – Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione, pone la seguente epigrafe: La gente non parte dai discorsi, ma è colpita da una presenza. Certo, è così. È la “presenza” che mi fa ascoltare e mi fa condividere ciò che sento, è la “presenza” che mi cambia e mi fa agire nel mutamento. E la presenza non è immagine, ma il suo opposto. La presenza è azione che testimonia, è profezia che induce all’empatia, è materia tutt’uno con la parola. La “presenza” è testimonianza degna di fede; e se la politica progressiva, e di sinistra, ha avuto un senso nel corso della storia per moltitudini di individui, è proprio perché è stata essenzialmente questo: testimonianza degna di fede.
Oggi non riconosco una sola presenza tra le immagini e le parole che ancora si alzano dai podi e dagli scranni. E tutti noi, individui variamente uniti in comunità, sappiamo riconoscere una “presenza”, e quando la incontreremo potremo tornare a pensare che una parte della storia appartiene ancora a chi la intende costruire in forma progressiva. Per il momento non resta che ripetere: fate la cortesia, sparite. Rimane una buona idea, rimane sempre meglio che essere tolti di mezzo.

Tratto da “Il Secolo XIX”, 4 maggio 2008