Maurizio Maggiani: La maestra che non ama la carta

Ieri sono andato a pranzo con la maestra Duse. Ci vediamo ogni tanto alla trattoria sul Ponte di Campia. Durante la guerra il ponte di Campia segnava la linea gotica, oggi è la porta di accesso dalla Lucchesia alla Garfagnana. Sarà un caso ma di qua dal ponte verso Barga il turismo è tutto inglese, di là prevalentemente tedesco. Alla Trattoria del ponte il nonno della Duse giocava a tressette e si ubriacava con Giovanni Pascoli che scendeva con il suo calessino da Castelvecchio; e alla trattoria la Duse bambina andava a comprare i sigari Toscani per la da lui amatissima sorella Mariù, che da vecchierella non voleva far vedere in paese che si dava ai vizi. La Duse ha cominciato il suo mestiere di maestra nel ’50, e nell’assegnarle il suo primo incarico il provveditore ha preteso di passare in rassegna mani e piedi: la sede disponibile non era adatta a signore che usavano lo smalto per le unghie, era una scuola di montagna sugli alpeggi garfagnini. Per questa ragione il ministero passava alla Duse un extra di legna da ardere, carburo per le lampade e siero antivipera.
La Duse partiva da casa il lunedì mattina e a piedi andava a scuola con lo zaino delle provviste. Ogni tanto si caricava anche la fisarmonica per fare un po’ di festa con i suoi alunni e i loro genitori. Da allora la maestra non ha mai smesso di fare il suo mestiere: insegnare. Oggi insegna ai nipoti dei suoi alunni, alle giovani maestre, tiene un laboratorio di animazione teatrale, un altro di espressività per i disabili, e anima il gruppo dei vecchi folatori, i narratori di storie orali che tradizionalmente animavano le notti garfagnine. Ha raccolto le loro storie e ci ha fatto un libro. E, naturalmente, continua a suonare la fisarmonica.
Ha studiato gli attuali programmi scolastici, le molte riforme e controriforme della scuola primaria e ha le sue opinioni al riguardo. La Duse dice che oggi la scuola è “una scuola di carta”. Un sacco di quaderni e di libri. E l’obiettivo è modesto: imparare una divisione a tre cifre. Secondo lei la scuola primaria è conoscere, provare, sentire, tutte attività che richiedono poca carta. Non saprei dire se la sua è un’idea dell’insegnamento molto moderna o molto antica. Come non so se la sua certezza circa il fatto che i bambini si annoino a morte a stare troppo tempo a casa in vacanza si basi sulla generazione dei suoi alunni pastori o anche su quella di oggi. Bisognerebbe saperlo chiedere ai bambini, ma dubito che ci siano molti adulti in grado di fare domande serie ai loro bambini, visto che appare evidente che non sanno porle nemmeno a se stessi.
Ma la maestra Duse non è pessimista come me: il pessimismo è un sentimento che un buon maestro non può permettersi. E non è neppure una nostalgica: non vive di ricordi, ma li fa vivere perché possano servire a qualcosa di buono domani.
Non crede neppure che la scuola del ’50 fosse meglio di quella di oggi, e quando le chiedo cosa ne pensa dei nuovi insegnanti mi risponde che non è questione di insegnanti ma di persone. Se ci sono persone che valgano abbastanza per poter insegnare. E non sembra che ce ne sia meno di un tempo.
Quando gli alleati hanno sfondato il fronte della linea gotica lei era sul Ponte di Campia con la sua fisarmonica, a suonare per dare loro il benvenuto. Li aspettavamo da tanto, dice, e i primi a passare sono stati i brasiliani. E racconta che si sono fermati ad accompagnare la sua musica con delle scatole di fiammiferi. Ancora non si spiega come riuscissero a far suonare quelle scatole.
Ancora si chiede se quei ragazzi venuti dal Brasile per liberare l’Italia, che nemmeno sapevano dov’era, quei ragazzi che ha visto morire a decine nell’ultima controffensiva tedesca, abbiano fatto quel lungo viaggio, ne siano morti, per qualcosa abbastanza duraturo da poterlo avere chiaro davanti agli occhi oggi come quel giorno sul ponte di Campia.
E io, che quel giorno non c’ero, proprio non saprei come rassicurarla nell’unica fragilità che si concede.

Tratto da “Il Secolo XIX”, 19 agosto 2007