Maurizio Maggiani: Il brutto della luce elettrica
Sono tornato dopo ormai dieci anni a Fossola.Certe leggende sognanti dicono che fu scambiata a lungo per l’ultima terra prima dell’Oceano, il grande fiume alla fine del mondo. Ma anche se è solo una fenditura nella falesia che inabissa la costa dell’Estremo Levante, è uno dei luoghi propriamente magici della Liguria, un’enclave ben custodita dai boschi e dai precipizi di quella parte delle Cinque Terre ancora per fortuna ignote ai turisti sporcaccioni.Fossola è una vigna di strette piane coltivate su una frana a precipizio nel mare, ed è il villaggio stagionale, fatto di cantine di pietra poggiate sulla sabbia, dove i contadini tengono i tini, gli attrezzi e una branda per dormire quando è troppo tardi per tornare a casa. Ogni cantina ha un terrazzino per essiccare l’uva dello sciacchetrà. Fossola non è dunque un borgo, ma la pertinenza marina degli abitanti di Biassa, che ancora continuano a tenere le loro piane con un orgoglio e una dedizione che dice qualcosa del loro ben noto robusto carattere. Vendemmiano ancora salendo e scendendo per mille gradini con le corbe sulle spalle, e solo da poco c’è una strada sterrata che ci arriva abbastanza vicino; da sempre a Fossola si arriva da Biassa per una splendida mulattiera, ancora ben tenuta perché ancora molto usata. Per quello che ne sapevo io a Fossola non c’era né luce né acqua, se non quella delle lampade ad acetilene e quella piovana raccolta nelle cisterne. Per questa ragione, per la durezza dello splendore di Fossola, rari sono i forestieri che hanno avuto il coraggio di comprare una cantina e di venire a trascorrere lì giorni selvaggi. Tornandoci per San Lorenzo ho trovato luce elettrica e acqua di condotta. È un bene, perché quelli di Fossola possono lavorare e viverci meglio durante i mestieri della vigna. È pure un bene per chi volesse vendere la cantina che così servita vale dieci volte di più. È pure un male. Lo è perché uscendo dal bosco e affacciandoti su quella meraviglia ciò che per prima cosa ti colpisce è la corruzione della sua unicità, la violazione della sua bellezza. Tutto il panorama è segnato dalla teoria dei pali della luce, mentre i tuoi piedi inciampano nel serpente nero della condotta dell’acqua. È come se avessero messo un elettrodotto lungo i gradoni della piramide di Cheophe, i tubi dell’acqua sui cornicioni del Colosseo. È esattamente la stessa cosa, perché il valore – non immobiliare, ma paesaggistico, culturale, storico – di Fossola è altrettanto inestimabile. Non sarà un caso che appartiene a un territorio decretato patrimonio dell’umanità. Passi per i tubi dell’acqua, che comunque sono a terra e non nel cielo, e sono disposto a immaginare che quella condotta se la siano fatta i contadini con le loro mani, ma i pali della luce? Quelli appartengono a una specialità tutta italiana: il nostro è il Paese dove non uno – dicasi uno – dei suoi innumerevoli stupendi paesaggi non sia segnato dal passaggio di un elettrodotto. Dove all’Enel non gliene frega niente della bellezza e men che meno della sua salvaguardia. Parchi o non parchi. Si dice che costa troppo interrare i cavi elettrici, ma cosa è “troppo”? Quale cifra è “troppo” per conservare la piramide di Cheophe? Quando il valore di un paesaggio unico – ripeto, non valore speculativo – è inferiore alla spesa necessaria per salvaguardarlo? I contadini possono anche pensare innanzitutto ai propri bisogni, ma non ci sono enti, movimenti, autorità, partiti, che si sono dati l’impegno della tutela e dell’educazione ambientale e del contrasto alla deturpazione? Non esiste in questo Paese autorità in grado di contrastare un’impresa? E mi sovviene che non ho mai visto un parlamentare dei Verdi, né un presidente di parco, né un segretario di associazione ambientalista incatenato a un traliccio, a digiunare sotto un elettrodotto. Magari funziona, no? E ho così la frustrante impressione che, qui da noi e solo qui da noi, i politici dell’ambiente, quelli che in suo nome prendono voti e incarichi, abbiano lo sguardo sempre più alto delle quotidiane brutture e delle locali nefandezze. Immersi nell’empireo cielo delle grandi battaglie, quelle che non si vincono e non si perdono mai, quelle che garantiscono una rendita politica eterna.
Tratto da “Il Secolo XIX”, 12 agosto 2007