“Maurizio Maggiani: Il Papa che rimprovera l’Europa “apostata” mi ricorda l’antica lotta delle investiture”
Il Papa ha lanciato un severo monito all’Europa. Benedetto XVI è un papa severo e infatti predilige esprimersi attraverso la severa forma retorica del monito; alla forma severa aggiunge severa sostanza. La sostanza del suo ultimo monito è più che severa e si avvale del durissimo giudizio di apostasia, rivolto non a un fedele che rinnega il Dio del Papa, ma a una comunità politica; anzi, alla più grande e moderna forma di comunità politica: l’Unione Europea.
Erano parecchie epoche che un Papa non si rivolgeva al potere politico per denunciarlo come apostata; non vorrei sbagliarmi ma non lo fece neppure Pio VII con l’impero di Napoleone che a Iddio, alla Chiesa e a lui stesso gliene aveva fatte di tutti i colori, né Pio IX con la monarchia sabauda, che pure gli aveva sottratto lo Stato Pontificio e drasticamente ridimensionato i poteri e i beni degli ordini religiosi. Di sicuro nella contemporaneità la denuncia per apostasia rivolta a entità politiche, oltreché a individui, era esclusivo appannaggio delle condanne dei tribunali islamici che ci siamo abituati a reputare fondamentalisti e integralisti.
Benedetto XVI, oltreché severo è dunque anche un papa integralista e fondamentalista? Io credo di sì. Lo credo e non ne sono per niente scandalizzato. Propugna, difende ed esalta i valori “fondamentali” e “l’integrità” della dottrina che li sostiene. Lo fa con severità, ma c’è qualcosa che non va nell’essere severi? Ad esserlo in tempi di corruzione e di lassismo? Non pensiamo tutti quanti noi, uomini di buona volontà atei, buddisti, battisti e musulmani, che dovremmo usare maggiore severità nel promuovere l’integrità e i fondamenti di una morale pubblica e privata quando constatiamo il degrado dell’una e dell’altra?
Quindi nessuno scandalo. Solo contrarietà. Perché a differenza di Benedetto XVI io appartengo a una civiltà culturale che da alcuni secoli conforma la convivenza degli individui nella comunità a principi di natura politica, non religiosa; una civiltà culturale che ha dato origine all’idea moderna di Stato e di società. I principi politici sono le costituzioni, i principi religiosi sono le dottrine di fede. Secondo le costituzioni esiste e ha corpo un’etica e una morale che raccoglie e compendia i principi etici e morali nel massimo loro comun denominatore: si può aderire ad un atto costituzionale di uno Stato essendo cattolici, buddisti, atei o ebrei. Ci sono valori assoluti e principi irrinunciabili solo in una costituzione dove ogni individuo può riconoscersi in libera coscienza.
Appartengo a una civiltà culturale dove la parola “libertà” assume un significato inequivocabile per ogni cittadino, talmente chiaro da poter stabilire per legge con estrema chiarezza chi infrange e come si infrange il principio di libertà. Questo è accaduto perché la mia civiltà culturale ha saputo, con fatica e con dolore nel corso del tempo, costituire il principio di libertà più forte di ogni particolare idea o fede; ha saputo costituire principi condivisibili perché ragionevoli e comprensibili universalmente. Per questa ragione a quei principi non è possibile obiettare se non chiamandosi fuori dalla società, o intendendo sovvertirla. La fede di Benedetto XVI, la dottrina che la conforma, vanno per altre strade e conducono altrove.
“Solo in Cristo siamo liberi”è una bellissima, struggente verità di fede, ma se la trasformo nell’articolo 1 della Costituzione, si fa atto di perversione della libertà. Se stabilisco che la vita di ogni essere umano è valore assoluto compio uno dei primi atti di dovere costituzionale, se voglio imporre il principio che l’essere umano si forma nell’atto dello sdoppiamento di una cellula femminile penetrata da una cellula maschile, per fare di questo affascinante atto di fede una legge dello stato, impongo il fascino della mia fede sulla conoscenza scientifica, sulla ragionevolezza, sulle altrui fascinazioni di fede.
Il severo monito di Benedetto XVI all’Europa è un gesto importante, storico. Egli di fatto afferma un potere che si oppone a un altro potere quando e come lo ritiene giusto e necessario, ed è potere di investitura. Investitura morale. Benedetto XVI non è l’erede di Giovanni Paolo II, ma di Gregorio VII, il papa che diede inizio a ciò che nei libri di storia viene chiamata “lotta delle investiture”. Fu un confronto europeo tra due poteri, il papale e l’imperiale, che poteva sembrare una lotta per la supremazia spirituale, ma fu da subito e per sempre una lotta per il potere politico, terreno. La scomunica dell’imperatore comportava il dovere di disobbedienza dei suoi sudditi, tanto per cominciare.
Prima del monito all’Europa, Benedetto XVI ha voluto emanare diversi moniti all’Italia, della stessa e maggiore severità. Ma per quanto mi riguarda, dato dalla fuga di Dante da Firenze la vittoria del papato nella locale lotta per le investiture.
Tratto da “Il Secolo XIX”, 25 marzo 2007