Maurizio Maggiani: La morale non ha prezzo anche se è solo la sfida del limone alla cocciniglia
Venerdì ho passato l’intero pomeriggio nella vana attesa della Stefi, e quando, ormai a buio fatto, si è degnata di telefonarmi per sciorinarmi le sue solite inconsistenti scuse e fissare un ulteriore appuntamento, non ho avuto il coraggio di insultarla e tantomeno di chiudere definitivamente con lei. La Stefi è troppo preziosa, la Stefi è il dottore dei limoni; di più: è la guardia medica dei limoni, l’unica disponibile in tutto il comprensorio. E io ho un limone malato, molto malato, e questi sono i giorni, le ore, in cui è più debole e bisognoso di cure: una nuova generazione di cocciniglie si è destata innanzi tempo da un fasullo letargo di un fasullo inverno, ed è pronta ad attaccarlo, a sferrare l’ennesimo ultimo assalto alle sue deboli difese.
Il mio limone ha ormai dieci anni, ed è nato malato. Mi è stato donato da un’amica che ha pensato nella sua innocente ignoranza di regalarmi una bellissima pianta. Si presentava bene, infatti, il giovane limoncello, tutto foglie verdi smeraldine lucide lucide, tutto fiori e frutti in crescita.
Fosse stata pratica del mondo degli affari vegetali avrebbe dovuto sapere che quell’alberello era stato rimpinzato di ormoni e medicinali vari prima di essere esibito sul palcoscenico di un fioraio di lusso. Fosse stata meno smaniosa di fare bella figura, avrebbe potuto scegliere in un consorzio agrario senza vetrine e senza nastrini, una gagliarda, indomita ferla innestata a dovere, di nessuna appariscenza ma di luminoso futuro. Così non è stato, e non ho avuto mai il cuore di spiegarle che i doni non necessitano quasi mai delle apparenze.
E così, per dieci anni, ho coltivato questo mio infermo limone impegnandomi a salvarlo dal suo destino; per onorare la mia amica, ma soprattutto per onorare lui. Ho vinto molte faticose guerre, contro il ragnetto rosso, contro il moschino bianco, contro i pidocchi verdi, ma le cocciniglie no. Le cocciniglie sono i mostri più schifosi e crudamente vitali che la natura abbia mai partorito; sono una maledizione metafisica, una punizione divina; come il demonio conoscono mille travestimenti e metamorfosi, come Satana sanno mentire e sopra ogni altra cosa fingere con raffinata arte la loro sconfitta.
Le cocciniglie non muoiono mai. Al mio limone ho dato un nome, Giobbe, perché come l’antico e saggio arabo della Bibbia, è afflitto da una rogna che non merita, come lui pone incessantemente domande al suo Dio. Sono domande mute, sono il suo costante, pateticamente coraggioso, dolcemente disperato fiorire e rifiorire ad ogni stagione. I suoi fiori profumano e il loro profumo emana un: perché? Perché quei fiori non diventeranno mai frutti maturi, ma le schifose, le vigliacche, le assassine, faranno il loro sporco lavoro approfittando della debole costituzione di Giobbe, annientando i neonati limoni senza pietà, che la pietà non è nella natura della cocciniglia.
Buon senso e ragionevole calcolo economico avrebbero voluto che io eradicassi Giobbe già da anni e lo consegnassi alla discarica vegetale, ma non si vive solo di buon senso. E la follia, o la stupidità, possono anche essere premiati. L’anno scorso Giobbe ha portato a maturazione un limone, il limone è sopravissuto al mite inverno e oggi è grande come un pompelmo, giallo come una pepita d’oro, odoroso come un candito. Non è stato un miracolo, è stata la scienza della dottoressa Stefi e del suo assistente Nasser.
Loro hanno armi segrete, roba militare immagino, modi speciali, attrezzi particolari, forse, semplicemente, sanno fare quello che io non ho mai imparato a fare: far abbassare la cresta alle cocciniglie. Cacciatori di demoni, la Stefi e Nasser non pretendono di sconfiggerli, Satana è immortale, ma hanno insegnato a Giobbe a convivere con loro e a fregarle sul tempo. È una cura costante, una scuola assidua, quella che devono esercitare sul mio limone, per questo divento molto, molto aggressivo quando mancano a un appuntamento; ma, si sa, i luminari sono preziosi e fanno i preziosi.
Ho calcolato, così tanto per passare il tempo, che il meraviglioso limone di Giobbe, mi sia costato, dalla sua nascita l’anno scorso a oggi, tra i 120 e i 150 euro. Immagino che sia il limone più caro del mondo. Immagino che sia il limone più prezioso del mondo intero. So bene che con quel denaro ci vive, ci deve vivere, per due mesi una famiglia intera dell’Afghanistan, e ho i miei sensi di colpa.
Ma so anche che il bel limone di Giobbe porta con sé, nella sua irragionevolezza, una morale, anche se ancora non so bene di che morale si tratti. E ogni morale ha il suo prezzo, un prezzo che non è mai insignificante.
Tratto da “Il Secolo XIX”, 18 marzo 2007