Maurizio Maggiani: Basta una parola: la scuola cambia la storia (e vende un libro)

Che bisogna sostenere l’industria nazionale è un comandamento così forte e pregnante che lo abbiamo inserito nel catechismo civile; non è escluso che qualche ateo devoto lo abbia aggiunto come prece nei suoi atti devozionali prima di coricarsi e accingendosi a consumare i suoi frugali pasti, di certo è la supplica con cui è doveroso iniziare e concludere qualunque pubblico discorso. Del resto è proprio vero: bisogna sostenere l’industria nazionale se vogliamo sviluppo e occupazione, benessere e orgoglio nazionale. Purtroppo non è così semplice trasformare una invocazione in azione, un desiderio in dato di fatto, e se l’industria nazionale fosse lì ad aspettare che si esaudissero le sue preghiere, se ne starebbe bella fresca. Così si arrangia da sola a sostenersi. Come può, come sa, come gli piace. Non di rado con colpi di genio, così confacenti allo spirito nazionale. Naturalmente c’è genio e genio; ci sono i buoni genietti e i cattivelli, l’astuto genio furbone e il benigno e altruista geniaccio. Se siete studenti e genitori di studenti, se anche solo passate davanti a una scuola e state un po’ a sentire, in questi giorni non sentirete che parlare di una specifica e distinta genialata escogitata da un ramo strategico dell’industria nazionale per sostenere se stessa; a dire il vero ne avreste sentito parlare anche l’anno scorso e l’anno prima ancora: si tratta di un’idea ormai ben collaudata. L’industria nazionale strategica è quella dell’editoria scolastica, la geniale trovata a sostegno di se stessa e qui non saprei identificare l’oggetto specifico del sostegno: se il benessere dei propri dipendenti o l’agio dei propri azionisti, o l’uno e l’altro consiste in un assiduo aggiornamento dei propri testi. Un aggiornamento oculato che con poca e nessuna spesa costringe il mercato, ovvero le famiglie di studenti e scolari, a rifornirsi di materia sempre nuova e sempre un po’ più costosa, un anno via l’altro. Un testo di italiano o storia o matematica diventa obsoleto così in fretta che non esiste alcuna possibilità che possa avere una vita più feconda di quella di una notturna falena. Del resto le scienze matematiche, linguistiche, fisiche e mefafisiche, sono oggetto di tali vorticosi e repentini mutamenti, che sarebbe criminale non tenerne conto e non informarne il più adeguatamente possibile gli studenti in corso di apprendimento. Vendere ogni anno libri nuovi in realtà a causa dell’obbligatorietà dell’atto si dovrebbe correttamente dire: costringere a comprare ogni anno… se dà grande impulso all’industria nazionale dell’editoria, consente anche ai nostri giovani di essere i più aggiornati d’Europa. È di grande interesse dare un’occhiata alla natura degli “oculati” aggiornamenti. Può capitare che anche solo aggiornando la copertina e una manciata di immagini dell’apparato iconografico si possa dare una visione rivoluzionata della materia, un impulso del tutto nuovo alla conoscenza. Per non parlare di come anche una sola frase qua e là, riproposta in inversione di soggetti e predicati, correlata a una nuova subordinata e arricchita di una suggestiva aggettivazione prima carente, possa cambiare il corso di apprendimento anche radicalmente. Mi è capitata l’occasione di sfogliare un testo di storia doverosamente aggiornato all’edizione 2006 dalla vetusta edizione 2002; nessuna materia dello scibile umano come la storia ha subito rivolgimenti così radicali in questi ultimi quattro anni; anche se non molti studenti hanno la ventura di giungere agli esami di maturità essendo stati gettati dai loro insegnanti nell’arena della contemporaneità, perché privare anche pochi delle ultime novità internazionali? Il testo in questione è “Le radici del futuro”, manuale di storia per gli istituti professionali, edizioni Arnoldo Mondadori, autore Vittoria Calvari. Il volume che mi ha gratificato di un aggiornamento della materia di stupefacente spessore è il II, “Nell’età dell’economia”. La revisione, l’unica vera e radicalmente innovativa di tutta l’opera, non riguarda l’attualità, quel farsi della storia che è ancora cronaca soggetta a inerto giudizio, ma una vecchia faccenda di 5 secoli or sono: la conquista delle Americhe, la colonizzazione, l’instaurarsi di una economia a regime schiavistico. È stata aggiornata una parola, una parola sola. Nell’edizione 2002 si dice che “….intanto, dopo sterminio degli Indios….” fu necessario importare mano d’opera sotto la specie di schiavi africani. Nell’edizione 2006 la storia non cambia, ma “sterminio” viene sostituito da “crollo demografico”. L’autrice ha riflettuto a lungo negli ultimi quattro anni, e ha deciso di aggiornare la storia del mondo almeno in questa sua piccola parte. La cosa mi ha prima stupito, poi affascinato. Cosa può indurre una storica che scrive in un paese di, almeno apparente, totale libertà di pensiero a censurare in modo che ci appare persino ridicolo un fatto della storia su cui non si discute più da almeno quattro secoli? Su cui concordano i gesuiti e i guevaristi, per cui hanno chiesto perdono i papi e hanno avuto giustizia i, pochi, superstiti. Perlomeno giustizia dalla storia e dagli storici; giustizia persino da Robert De Niro e dalla giuria dei premi Oscar (The Mission). Quale urgenza revisionista può spingere una studiosa a sostituire la parola “sterminio” con lo stesso identico eufemismo menzognero usato nei documenti ufficiali nazisti per enunciare la soluzione della questione ebraica? Cosa può turbare nella sommaria conoscenza di una tragedia perpretata mezzo millennio fa i giovani intelletti dei futuri odontotecnici, cuochi, meccanici? Sempre che qualcuno di loro legga quel manuale, sempre che qualche loro insegnante abbia voglia e tempo di riflettere sulle parole. Quale editore, quale redattore, quale correttore di bozze può aver richiesto quella revisione? Secondo me nessuno, non in questa epoca, non in questo Paese. A meno che le cose non stiano molto, molto peggio di come sembrano, e c’è chi ritiene, tra chi si incarica dell’educazione alla conoscenza delle nuove generazioni, che anche sulla condotta delle truppe del cattolicissimo re di Spagna e Imperatore Filippo II, sia bene smorzare i toni. Se è così, allora i manuali di storia andranno aggiornati di mese in mese.

Tratto da “Il Secolo XIX”, 24 settembre 2006