Maurizio Maggiani : Villaggio Felice. Tutti soli accompagnati dal telefonino

Villaggio Felice. Me lo avevano vivamente consigliato come adattissimo alle mie esigenze: una solida struttura concentrazionaria, ben protetta e ben isolata dal mondo esterno e da qualunque forma di stimolo eccessivo e non strettamente necessario a ciò per cui ero intenzionato a spendere anche cifre non proprio ragionevoli: una settimana di mare letteralmente full immersion. Nuotare, nutrirsi, leggere, dormire; pura e semplice riabilitazione, qualcosa di simile a ciò che può offrire un reparto di fisioterapia decentrato su una spiaggia. E ho trovato quello che cercavo: un immenso, millenario uliveto sul mare, un singolare giardino botanico, ricco e curato con l’alacre attenzione che sola può dare a un artificio di giardineria le sembianze di una natura selvaggiamente indomita. E naturalmente spiaggia privata con ripido, salutarissimo accesso, mensa di rigorosa salutistica marinara, alloggi austeri e ben isolati. Mezzi elettrici per le attività di servizio e discreti avvisi e inviti a rispettare la natura.
Mi è stato detto che il proprietario del Villaggio Felice è un misterioso vecchissimo comandante di marina di origine ligure, e che ami vivere nel suo felice villaggio aggirandosi in incognito, controllando e sovrintendendo al continuo miglioramento. Essendo, oltreché un fervente botanico, un collezionista d’arte, ne offre il piacere della vista agli ospiti con una generosità e una fiducia per lo meno singolari. Di certo so che nella sala dove ho consumato i miei pasti ho notato ben disposti alle pareti diversi Rosai e Campigli, e che oltre una cordicella con la targhetta “privato” mi pare di aver visto abbastanza nitidamente un piccolo ma significativo Kandinsky, come ho riconosciuto sul prato della piscina due grandi sculture mobili di un famoso artista giapponese.
In questo ameno e discretamente sciccoso sito marino, in un’atmosfera d’ambiente non scevra da un certo sentimento di esclusività, non mi ha troppo sorpreso venire a sapere attraverso una esaustiva documentazione affissa con molta discrezione in una bacheca della direzione, che proprio al Villaggio Felice nel lontano 1980 il presidente Romano Prodi ebbe la visione illuminante della sua idea politica. L’idea che con fedele perseveranza ha fin qui seguito e a cui, da quel che posso immaginare, rimarrà fedele usque hac cadaver. Ebbe egli modo di notare, caracollando allora assai più giovanilmente attraverso lo splendido e antico uliveto, una quercia vegetare prosperosa nel cavo di un massiccio ulivo. Ho avuto modo di vedere e constatare io stesso quella profetizzante singolarità della natura durante il mio soggiorno non che fosse segnalata, la filosofia del Villaggio Felice è improntata alla massima discrezione in ogni suo aspetto ma ciò che conta è che nel corso degli anni ’90 il professor Prodi utilizzasse quelle due piante avvinte per sempre, così altamente metaforiche, per convincere i riottosi leader del più grande partito della sinistra, e se stesso, della naturale possibilità di convivenza di Quercia e Ulivo. Non semplicemente accanto o vicine, ma una nell’altra. Come i maggiori giornali dell’epoca hanno riferito con sussidio di convincenti immagini. E come gli elettori dell’odierno governo si augurano non senza trepidazione.
Ecco, in un posto del genere, deputato all’ozio contemplante, all’adesione panica alla natura e, casomai, alla meditazione di lungimirante politica, tutto mi sarei aspettato, ma non certo di incontrare anime in pena, irrequiete, affannate. In realtà era nelle mie previsioni di non incontrare anima alcuna, per questo avevo trovato ragionevole pagare una retta ben al di sopra di quella di una, ai miei occhi normale, settimana di vacanza, ma c’era la spiaggia. Tutti in spiaggia la mattina, e dove se non in spiaggia? E in spiaggia non ho visto gente nuotare, dormicchiare al sole, leggere all’ombra, ma un ribollire di menti possedute da urgenze schiaccianti, pressate da inderogabili questioni di vita o di morte, schiacciate da angoscianti tormenti dell’anima.
Ho visto esibirsi tutto ciò in una raggelante fiera della conversazione ad alta voce tramite telefono cellulare. Come se il telefonino avesse la proprietà di rendere invisibile e inudibile il suo possessore, i duecento ospiti del Villaggio Felice hanno ininterrottamente trattato delle cose più intime e delicate oscenamente, terribilmente delicate intime, qualche volta gomito a gomito, ingombrando il bagnasciuga con la cacofonia delle loro conversazioni come una tribù di leoni marini spiaggiata per la stagione degli amori. Brandendo uno o due cellulari immersi fino alla cintola nelle carezzevoli onde tirrene, schizzando sabbia e acqua in un convulso andirivieni tra sdraio e risacca, immobili nel sole cocente sopra la sabbia ardente.
Senza averne alcuna necessità e alcuna voglia ho assistito alle fasi conclusive e drammatiche di una separazione tra coniugi, o amanti, dove la parte presente era un giovine mio vicino di ombrellone adeguatamente accompagnato da giovinetta. Alle trattative per un matrimonio combinato in perfetta regola, compreso di pranzo e viaggio nuziali, condotte da una bionda signora a cui sono stati necessari due telefoni per arrivare a una accettabile conclusione. All’acquisto – o noleggio, non ho ben capito – di dodici lavoratori; ma, mi raccomando, solo se di nazionalità ucraina, è importante che siano ucraini. Il panzuto signore che acquistava uomini aveva con sé in spiaggia moglie e figli e non dimenticava durante la sua lunga conversazione, di distribuire carezze e sorrisi alla sua amata famiglia. Mi sono compiaciuto del successo con cui un distinto signore ha concluso un duro scontro per ottenere un mutuo dalla sua banca. E molto altro ancora, indecentemente spiattellato sulla spiaggia esclusiva del Villaggio Felice, come nella sala dei telefoni in un carcere giudiziario il giorno di chiamata parenti.
E la notte, passeggiando per metabolizzare la dieta marinara, tutta quella gente la sorprendevo sparsa e discosta nei vialetti tra gli ulivi, lungo le siepi più recondite di candida artemisia. Sempre con il cellulare all’orecchio, ma con tutt’altro tono. Sussurrante, supplicante, bisbigliante, come se ognuno fosse in linea con un Telefono Amico. Sempre soli anche se non mi è parso di vedere per tutto il tempo diurno un solo single.

Tratto da “Il Secolo XIX”, 27 agosto 2006