Maurizio Maggiani: Quella strana politica dei pacifisti al diamante

Nell’ambito dell’impegnativo principio “delle esperienze della vita non farsi mancare niente”, sono riuscito persino a fare l’assessore, per due lunghi interminabili anni, in una giunta singolarmente anomala nel mio paese natale, tra il 1992 e il 1994.
Quella dell’amministratore è stata un’esperienza indimenticabile; lo è stata per me e lo è stata vieppiù per i miei compaesani. All’alba radiosa del ’92 eravamo tutti quanti amici fraterni, fiduciosamente pronti a una entusiasmante avventura, nelle foschie crepuscolari del ’94 non ne potevamo più l’uno degli altri, gli altri dell’uno. Non ci furono grandi scontri ideologici, né immani conflitti di interessi, ma l’incompatibilità tra il sottoscritto e l’arte dell’amministrare per conto del popolo. L’incompatibilità tra una coscienza senza se e senza ma e le necessità quotidiane del governare. È stata una bella lezione per me, e, da quando ci ho posto la parola fine, pure qualcosa da ricordare e raccontare con affettuosa benevolenza per i miei compaesani.
La lezione consiste nell’accettazione di questo principio cardinale: governare significa mediare, senza capacità di mediazione non c’è possibilità di governo; perché anche la comunità più coesa ha interessi diversi, soggettivi e oggettivi, e i tuoi principi, la tua coscienza, ne debbono tenere conto, valutarli e comprenderli, per poi scegliere non in base a te stesso, ma per conto della collettività composta da individui che vanno messi d’accordo tra loro e poi con te.
Io di mediare non sono capace, proprio non ce la faccio. Venivano davanti al mio ufficio, una mattina sì e l’altra ancora, una ventina di mamme a chiedere ognuna di spostare davanti a casa, a beneficio della cagionevole salute del figliolo, la fermata dello scuola-bus. Fosse dipeso da loro il servizio sarebbe stato porta a porta per dodici frazioni sparpagliate nella collina e il pulmino avrebbe dovuto iniziare il suo giro alle cinque di mattina. Se non riuscivo a nascondermi in qualche sottoscala – e loro sapevano dove cercare – affrontavo le mamme a muso duro, spiegando e rispiegando i principi di un pubblico servizio; quelle non ne volevano sapere, e se ne andavano via mugugnando solo per darmi il tempo di ripensarci prima di ritornare alla carica. Io non ci ripensavo, ero uomo di cristallina coscienza.
Me ne sono andato via in tempo per non farmi dei nemici per la vita; il mio successore svolge ancora felicemente il suo incarico, apprezzato e ben voluto. Le mamme non si lamentano e il pulmino inizia il suo giro ad un’ora più che ragionevole. Cosa sia successo, cosa abbia fatto il nuovo assessore non lo so, non riesco a capirlo, se non nell’ambito del miracolo. Appunto, ciò che io non so fare: il miracolo della mediazione per il buon governo.
Non ho rimpianti: non è necessario fare l’amministratore per servire la comunità. Mi tengo la mia coscienza civica e il limite che deriva dall’inflessibilità, mi può servire per altre cose buone, non ho dubbi. Di certo, da allora è cambiata la mia idea sul governare e sul come farlo.
Perché ho imparato bene la lezione, ed è stato semplice impararla, mi dà un certo fastidio vedere una parte dei componenti della maggioranza di governo porre la propria coscienza senza se e senza ma come cardine per l’opposizione al rifinanziamento della missione italiana in Afghanistan. Rifiutare la mediazione in nome di principi immediabili; ed è gente mica come me, fringuello senza esperienza, amministratore di un paese di ottomila anime. Questi hanno scelto da anni e decenni la politica, hanno scelto di concorrere a governare un paese di sessanta milioni di abitanti, come hanno potuto non sapere, prima di sottoscrivere operosissimi impegni, che governare con coscienza significa porsi continuamente dei se e dei ma?
Nel caso specifico del Partito dei Comunisti Italiani poi, l’idea della prevalenza della coscienza diamantina su qualsiasi altra considerazione di ordine politico, mi fa rizzare il pelo. Essendo questo il partito che in Italia può vantare uno dei migliori rapporti tra votanti e assessori, consiglieri, e comunque potere, mi viene difficile pensare che questo record sia da attribuirsi alla diamantina coscienza e non alla capacità eccezionale di trattativa e mediazione. Se mi ricordo poi che questo partito di non ancora decennale storia può vantare tra i suoi atti fondanti il voto favorevole alla guerra di Kosovo – il bombardamento a tappeto della città di Belgrado ne fu atto non secondario – è lecito che mi sorgano ulteriori dubbi sulla natura diamantina della coscienza dei suoi dirigenti. A meno che la coscienza e il pacifismo senza se e senza ma siano conquiste dell’ultima drammatica ora.
Ma in generale, agli obiettori di coscienza che in questi giorni si chiedono se far cadere o no il governo in nome dei loro principi, sono a domandare con comprensibile preoccupazione cosa è stato detto e promesso all’atto della loro candidatura. Che ce ne saremmo andati dall’Afghanistan? È stato forse rotto qualche patto che non ho letto nell’immenso programma di governo? Se sì, hanno la mia adesione, se no, passo alla seguente considerazione. Io credo di essere un pacifista di saldi principi e, come dicevo, scarsamente propenso alla mediazione. Per questa ragione non mi sono mai sognato di candidarmi al Parlamento e di accettare di far parte di una maggioranza di coalizione dove so abitare opinioni difformi dalle mie anche riguardo a questo e ad altro. Esercito la mia coscienza nelle strade, negli scritti, nella parola, ovunque mi consentito farlo, senza necessità di mediazione alcuna.
E voi invece? Vi è stato forse promesso un governo dei soviet? Vi è apparso in sogno la Gerusalemme Celeste realizzata per grazia vostra in Italia nel 2006 e segnati da questo mirabile sogno non sapete darvi pace? Ve lo chiedo perché mi piacerebbe avere la massima stima di voi, delle vostre scelte e delle vostre capacità di governare me e, per quanto possiate, il mondo intero e le sue tragedie. E mi dispiace non capirvi, e soprattutto non riuscire a scorgere la realtà attraverso il diamante della vostra coscienza.

Tratto da “Il Secolo XIX”, 2 luglio 2006