Maurizio Maggiani: Aquilotti in festa, il mio amico un po’ meno

Dunque la città della Spezia ha avuto questa grande gioia di vedere la sua squadra di calcio cittadina promossa in serie B. È una cosa di cui tutti vanno fieri in città e fanno bene: sono tempi in cui è difficile aspettarsi grandi soddisfazioni dalla vita e arrivare al campionato cadetto dopo qualche decennio, e farlo dopo aver battuto persino il Genoa, è già più di qualcosa. Naturalmente l’entusiasmo, come tutte le sostanze euforizzanti, ha i suoi effetti collaterali, ciò che nei bugiardini delle medicine è classificato come “effetto indesiderato”. Ma mentre per le medicine è una roba che riguarda in massima parte chi le prende a meno che non si tratti di farmaci che trasformano un ammalato in uno psicotico aggressivo, ed è capitato anche questo gli effetti collaterali del calcio ricadono su tutta la comunità e assai spesso gli effetti indesiderati riguardano in particolare quelli che non si sono prestati a un’overdose di euforia. Vediamo se riesco a spiegarmi. L’altra mattina nella piazza del mercato il mio salumiere uomo di principi imperituri, che espone all’apice del suo banco la bandiera degli “Aquilotti” da almeno vent’anni mi ha trucemente minacciato: «E adesso vediamo se il sindaco ce lo fa lo stadio…». Naturalmente in quel momento non aveva davanti a sé il suo affezionato cliente a cui stava incartando il prosciutto, ma il sindaco della città in persona, gravido di tutte le sue responsabilità. Ma non ha tardato a intorvirsi anche avverso a me, quando il fedele cliente gli ha fatto notare che a suo parere il sindaco non possedeva risorse personali adeguate e che se voleva lo stadio nuovo doveva essere ben cosciente che doveva chiederlo a me e a tutti gli altri onesti contribuenti della città. Sono loro che pagano gli stadi; e tutto il resto, naturalmente. E si dava pure il caso che personalmente avessi in mente altre spese urgenti, nonostante fossi anch’io dedito allo spasso dello spettacolo calcistico. Non so cosa deciderà il sindaco per conto dei contribuenti, ma so per certo che non potrà ignorare la formidabile forza percussiva del mio salumiere. E del suo partito, il partito del pallone. Un partito a cui non sono bastati trent’anni di assidua frequentazione dello stadio (assai più Marassi che Picco, a dire il vero) per farmi decidere ad aderire. Ho un amico che da una vita si dedica allo sport. Può capitare che un tizio che va a vedere le partite di pallone tutte le domeniche ti dica che si dedica allo sport, ma non il mio amico. Lui è stato campione di atletica e da vent’anni fa scuola di atletica ai bambini, ai ragazzini, ai giovani uomini e donne che amano come lui fare sport. Che non è mica una roba da niente, né che si compendia nell’acquisto di un biglietto e di un cuscino da mettersi sotto il culo sulle gradinate di uno stadio. Chi tra i lettori ricorda cosa sia l’atletica sa pure che è fatica, sacrificio, intelligenza, dedizione; almeno finché non arriva un tale con una scatola di fiale e ti spiega come ci sia la cura efficace per battere il record mondiale degli 800 metri. Non è il caso del mio amico e dei suoi ragazzi. Naturalmente lui è un volontario; tiene la sua scuola finito di lavorare e a gratis. Riesce quasi sempre a non far pagare ai suoi ragazzi le attrezzature e i corredi ingegnandosi con una questua pressante alla corte di sponsor e sponsorini, mettendo assieme 100 euro qua e 500 là. La città che ha portato la sua squadra di calcio in serie B non ha uno stadio di atletica. Da un secolo ormai usa quello della Marina militare, un bello stadio ai tempi dei fasti navali, e assai malconcio da quando anche la Marina è entrata nel tunnel delle ristrettezze finanziarie. C’è una lunga coda di utenti potenziali che vorrebbe usare quell’unico spazio; anzi, c’è ressa, ed è del tutto escluso che un cittadino qualunque, desideroso di allenarsi in una disciplina possa pensare di andare al campo e di poterlo fare. Il mio amico da tempo usa per i suoi ragazzi ilcampo di atletica di un comune limitrofo. È persino dotato di illuminazione, cosicché può fare allenamenti anche in inverno. La generosità di quel comune non prevede che i ragazzi possano usare gli spogliatoi, visto che questi sono in uso esclusivo per la locale squadra di calcio. Estate e inverno i bambinetti si spogliano e si rivestono a bordo pista; non è un brutto spettacolo, dice quanto ci siano attaccati a fare atletica, di quanto poco abbiano bisogno per il loro gioco di sport. Ma questo non è il punto, il punto è che la sua società sportiva, che ha 250 iscritti, quest’anno ha finalmente avuto la promessa, per la prima volta da quando è nata, di un contributo pubblico. La promessa di ben 2.000 euro. Duemila euro sono assai meno di quanto la comunità spende solo per far pulire dove è stato insozzato ogni volta che la squadra di calcio gioca in città. Non mi risulta che ci siano altre società di atletica in città; una volta ce n’erano, e c’era pure una bella scuola di pugilato, di equitazione, di canottaggio. Ora non mi risulta; e non è una bella notizia che la società del mio amico abbia solo 250 iscritti in un comune di 100.000 abitanti. Come si sa, altrove nel mondo i ragazzi che praticano sport sono in media dieci, venti volte tanto. Ma convincere genitori e figli che valga la pena di grandi sacrifici senza che nulla intorno li incoraggi, senza che la comunità li degni di uno sguardo, è impresa al di sopra delle forze di un uomo. Infatti altrove nel mondo è compito delle strutture formative della città e del Paese. Ma un partito di 250 iscritti minorenni che fanno sport non ha modo di esistere e tantomeno di fare campagna elettorale; e nella città degli Aquilotti, come altrove, si vive in regime di monopartitismo. Il partito del mio caro salumiere.

Tratto da “Il Secolo XIX”, 7 maggio 2006