Maurizio Maggiani: “Papà, il manicomio è un paradiso, fammi vivere qui”

Con un po’ di giorni di coprifuoco le periferie francesi si sono spente; confortante l’idea che in fin dei conti basti così poco per sistemare le cose, almeno fino alla prossima volta. Ma conosco un pochino i francesi, e so che non sono così stolidi da pensare di avere risolto niente, e anche il presidente Chirac – che la satira in televisione pubblica francese di queste settimane sbeffeggia con una crudeltà che in questo Paese sarebbe giudicata criminale – sa di dover investire molte risorse nella collettività nei prossimi mesi e nei prossimi anni anche solo per metterci una pezza. E ce la metterà una pezza, e lo farà nel modo dignitoso a cui i francesi non possono rinunciare quando fanno atto di dolore al cospetto della nazione anche dopo aver combinato le peggio cose. Bene, cosa fatta capo ha.
Mentre la Francia si spegneva, io me ne sono andato in gita a Napoli, per la precisione a Secondigliano, dove tengo dei cari amici. Nel gergo dell’ipocrisia dei media, Secondigliano “è tristemente noto” per i fatti di cammurria ed è noto per lo stato del suo degrado urbano. Parole vuote. Bastano un paio di giorni per capire che lo schifo in cui galleggia Napoli e la regione periferica che gli si è incitata intorno fino a Caserta e al Vesuvio non è effetto della malasorte, ma di un’opera indecente e criminale di uomini che per generazioni si sono accaniti nella rapina delle cose e delle anime, dei paesaggi e delle culture. Alcuni di questi uomini, naturalmente, sono tuttora viventi e vegetanti e operanti, e non hanno nessun atto di dolore da professare. Non uno tra loro ha intenzione di metterci mai anche solo una pezza da quelle parti, e i più furbi dichiarano con dolente sarcasmo che nulla è più possibile ormai: tutto è troppo marcio fin nel più profondo sottosuolo, loro compresi.
Ma voglio raccontarvi una piccola storia ascoltata a casa degli amici miei. E’ la storia del figlioletto di Ciro. Ciro è un giovane ricercatore universitario sposato con una giovane supplente di scuola, una coppia che solo vent’anni fa sarebbe stata considerata promettente ceto medio. Hanno un figlioletto di quasi cinque anni che si chiama Nicola e vivono in un piccolo appartamento di Giugliano. Pure Giugliano è come Secondigliano, e forse peggio. Pur non distinguendosi da ogni altra parte dell’informe landa suburbana fa Comune a sé: è un Comune di 110.000 abitanti, una media città d’Italia. In questa media città d’Italia non solo non c’è una libreria, ma neppure una cartolibreria dove comprare non i grandi capolavori delle letteratura e della saggistica contemporanea e classica, ma i libri di testo per le scuole.
Non c’è neppure un cinema, se è per questo, e l’opera pubblica più recente è stata l’asfaltatura dell’unico parchetto giochi per bambini, visto che quello che doveva essere prato erboso faceva troppo schifo.
La famiglio di Ciro lavora in centro a Napoli ma vive a Giugliano perché con il boom del mercato immobiliare non possono permettersi una casa nel centro storico ma solo nelle cloache circostanti dove crescerà il loro bambino, dove invecchieranno, visto che non possono aspettarsi molto di iù di quello che hanno, sempre riescano a mantenere le loro occupazioni precarie. Ciro e la moglie sono due persone colte e sensibili, molto motivate e – come dire? – due persone buone, e mai è passato loro per la testa né mai passerà di incendiare automobili o fare alcunché di distruttivo per denunciare la loro infelicità: ; l’ordine pubblico non ha nulla da Temere da loro. Loro invece qualcosa da temere ce l’hanno. E riguarda il loro Nicola, ed è per questo che mi hanno raccontato l’episodio che segue.
Nell’ambito della sua attività di ricerca Ciro si è impegnato in un programma di recupero degli internati nell’ospedale giudiziario di Aversa, già manicomio criminale. Alla fine del programma i cosiddetti pazienti hanno fatto una giornata di spettacoli aperti al pubblico e Ciro ha ottenuto il permesso dall’autorità giudiziaria di portare il figliolo ad assistervi. E lì c’è stato un problema. Il bambino era forse troppo piccolo per assistere diligentemente agli spettacoli e così si è guardato intorno. E intorno ha trovato un luogo meraviglioso. Dopo la riforma e le decennali lotte per l’umanizzazione delle istituzioni concentrazionarie, l’ospedale giudiziario di Aversa è un posto ricco di verde, con un piccolo allevamento di pecore, con le galline che razzolano intorno, e alberi e cespugli e prati e coltivazioni di fiori e ortaggi.
Quando è stato il momento di tornare a casa Nicola si è messo a piangere a dirotto avvinghiato ad un albero. Voleva vivere per sempre lì, non voleva più tornare in quel posto orribile dove i suoi genitori crudelmente lo avevano confinato. Il posto più bello che Nicola ha conosciuto nella sua tenera vita di residente a Giugliano è stato il manicomio criminale, l’unico posto dove per lui è desiderabile vivere. Grazie ai suoi genitori Nicola non crescerà come un casseur e un incendiario, ma come crescerà un bambino che vorrebbe vivere in un manicomio criminale? E che Paese è quello che ha saputo vincere nei bei tempi andati la battaglia per dare dignità ai malati di mente e non riuscirà mai a vincere quella per dare dignità agli altri suoi cittadini? Un Paese che come dice il nostro primo ministro è il più ricco d’Europa. E se è così, anche il Paese più schifoso d’Europa.

Tratto da “Il Secolo XIX”, 20 novembre 2005