Maurizio Maggiani: Capisco quella “feccia”. Vuole una vita decente
Salteranno in aria le periferie delle metropoli d’Europa e persino d’Italia. Non è ancora certo e non c’è accordo sul quando e dove né a cagione di cosa e di chi, ma dicono tutti che è solo questione di tempo. Del resto perché la gente dovrebbe rassegnarsi a vivere nell’invivibile? Perché dovrebbe mantenere un comportamento civile in un habitat incivile? Perché dovrebbe rispettare chi non la rispetta? In nome di cosa dovrebbe pazientare per l’eternità tollerando l’intollerabile? In cambio della ricompensa eterna? No, è un’offerta ormai fuori mercato. Oggi a credere sul serio a una apparente ricompensa ultraterrena ci sono rimasti solo i kamikaze islamismi. In linea di principio gli umani di ogni razza e etnia vorrebbero vivere una vita decente qui e preferibilmente ora. Obiettivo, che ben pochi tra loro riescono a raggiungere su questa terra senza lotte dure e non di rado disperanti.
Eppure si tratta solo di una vita decente, mica della conquista di Marte; il fatto è che, per quanto incredibile possa sembrare, la garanzia della decenza per tutti i cittadini non rientra che assai di rado nei programmi dei governi. I quali governi sono essi stessi, in quest’epoca non di rado, indecenti. Indecente fu, ad esempio, il progetto di sviluppo della città di Parigi sotto il sindaco Chirac, che la fece magnifica, sì, ma a esclusiva disposizione del ceto medio. Indecente fu il suo piano di migrazione forzosa degli operai, degli immigrati, dei disoccupati o disoccupabili verso i concentramenti della fascia esterna della città, progettati, indecentemente, come colonie lunari perfettamente isolate e impermeabili. E dunque non indecenti perché infami da un punto di vista materiale – per gli standard italiani potrebbero apparire addirittura insediamenti modello – ma perché infami da un punto di vista sociale, psicologico, culturale. La decenza è una roba complicata; è una questione che attiene all’animo umano e non allo stomaco e agli sfinteri, non solo e non soprattutto.
Chi ha cominciato due settimane fa a dar fuoco alla Francia non lo ha fatto perché stava morendo di fame, ma perché è stato chiamato canaglia e feccia da un ministro che, non è affatto escluso, ha forse contribuito ad eleggere. Perché ogni volta che prova a varcare la barriera del suo quartiere per andare a dare un’occhiata al mondo, e dunque a Parigi, è accolto come feccia e canaglia.
Immagino che i lettori avranno difficoltà a seguirmi, ma sono della stravagante idea che ciò che sta accadendo e ciò che si teme che accadrà è innanzitutto una rivolta culturale. Distruttiva perché i rivoltosi sono del tutto privi di mezzi intellettuali per mediare alcunché. Ma qualcuno si è davvero occupato di fornirli di un minimo indispensabile di mezzi per la loro decenza culturale? Il vecchio sindaco di Parigi ammette di no e promette un programma di rilancio delle pari opportunità e soldi per aumentare il numero degli insegnanti di sostegno. La qual cosa, se non sbaglio, sta a dire che ad assediare Parigi c’è un esercito di handicappati discriminati. Centinaia di migliaia, milioni; bianchi, neri, bruni.
Come ci si sente a sedici, diciotto anni, a iniziare una vita da feccia handicappata, canaglia discriminata? Bè, viene una gran voglia di fare un po’ di danni, tanto per cominciare. Quello che accade in questi giorni succede da mezzo secolo ciclicamente a Los Angeles. Cosa hanno ottenuto i neri di Watts dopo qualche miliardo di dollari di danni di beni pubblici e privati di L.A.? Una cosa interessante: i bianchi del ceto medio hanno lasciato la città e si sono rinserrati in isole periferiche fortificate e autosufficienti. Questo negli Usa sta succedendo ovunque ormai. Che fa una generazione o due saranno i giovani eredi del ceto medio intellettuale e democratico della california e del new England a dare fuoco alle periferie intolleranti deol loro, solo a proma vista, dorato isolamento? Perché no?
Rivoltosi culturali bianchi, neri e bruni come quelli di Parigi, come tutti gli altri; provenienti da opposti orizzonti ma diretti verso lo stesso falò. E qui? Nel Paese con le peggio periferie d’Europa? E non perché lo dice Prodi, ma perché basta vederle, camminarci. Naturalmente, come per ogni altra cosa anche per le tragedie non possiamo aspirare alla grandezza della Francia o degli Usa. Fiduciosi nel culto adorante per le automobili sconosciuto negli altri paesi, i governi daranno un po’ di soldi al volontariato cattolico e magari, tra qualche anno, anche a quello musulmano di sicuro ascendente moderato, sicuri che se ci saranno i falò saranno rari e circoscritti. E forse sarà proprio così. Nn facciamo abbastanza figli nemmeno per mettere su una banda come si deve. E gli immigrati sono per la maggior parte ancora nella condizione di dover procacciarsi qualcosa da nutrirsi e vestirsi e ripararsi decentemente per avere abbastanza tempo e energia da arrabbiarsi veramente per l’indecenza con cui li consideriamo adatti ai nostri avanzi e solo a quelli. Ma fanno figli: nella prossima generazione ci saranno molti ragazzi con l’idea, forse confusa forse no, che una vita decente non può essere fatta di avanzi.
Questo penso, e magari non ho capito niente, e forse quello che sta succedendo è solo una rivoluzione.
Tratto da Il Secolo XIX, 13 novembre 2005