Maurizio Maggiani: Quattro salti in padella nella nobile Toscana

Una cosa che ho capito negli anni sono le meravigliose proprietà virtuose della lentezza. Più vai lento e più cose succedono, più cose vedi, più cose impari; e più sei dentro la verità delle cose che la velocità ti impedisce di percepire se non nell’illusorio baluginare della loro scia, o della tua. Viaggio lento, il più possibile a piedi e il meno possibile in aeroplano; comunque parto sempre per tempo, ovvero lasciandomi tempo e spazio e libertà per gli imprevisti. Incontri imprevisti, impreviste visioni, sorprendenti varianti.
È per via della lentezza che ho potuto godere del privilegio di un’indimenticabile scena italiana, ancora un’altra, pochi giorni fa, prendendomela comoda sulla strada per l’Isola d’Elba, in uno di quei viaggi verso le agognate vacanze che gli sprovveduti cercano di fare più in fretta possibile. Avevo appena saputo dal giornale di quella mattina che il nostri velocissimo primo ministro, dando una rapida occhiata dalla finestra della sua villa, di una sua villa, di vacanza aveva intravisto l’orizzonte marino ingombro fino all’inverosimile di panfili e motoscafi, a riprova dell’enorme ricchezza accumulata dal Paese. Vacci piano, vacci piano, pensavo tra me, mentre l’Intercity, in intimo accordo con me, si trascinava pigramente verso le terre di Toscana nella speranza di maturare almeno un’ora di ritardo prima di consegnarmi alla stazione di scambio per i traghetti dell’arcipelago.
Avendo la meritoria società Trenitalia coronato con successo il suo lodevole sforzo, avendo perso il traghetto imprudentemente prenotato, ho colto l’occasione per uno di quei fuori programma di cui vado pazzo e me ne sono andato a visitare il paese di Campiglia, lassù sul suo cocuzzolo. Ero nel cuore del paese, nel cuore della Toscana, nel cuore della Maremma, nel cuore della stagione turistica, cosa avrei potuto sperare di meglio di una visita con pranzo al nobile paese medievale, già pertinenza del principato di Piombino? E ascendendo al colle con lento ma fermo passo di escursionista, meditavo sulle splendide chiudende di antichi ulivi, sui vigneti madidi di promettente vendemmia, sulla civiltà contadina che mai si estinguerà, qualunque cosa succederà al prossimo Wto, qualunque sia la potenza dell’attacco delle perfide forze della globalizzazione. E il paese di Campiglia è bello e ben tenuto, come ci si deve aspettare dalla civiltà dei borghi; con le sue mura, le chiese e gli oratori, le enoteche, chiuse, le trattorie, chiuse, i ristoranti, chiusi, le pizzerie, chiuse. E, aperto, nella piazza principale, in confortevole posizione panoramica, con dehor generosamente fornito dei caratteristici tavolini e sedie di plastica, vanto della nostra industria ad alro contenuto di innovazione tecnologica, una grande, accogliente caffè, ristoro, tavola calda. Visione che rinfranca il cuore al pellegrino, icona cara al viandante, insegna promettente il piccolo paradiso della tipicità nutrizionale del Paese che può transigere su tutto ma non sul pane guadagnato col proprio sudore.
Ho pranzato con un piatto di Gnocchetti alla Sorrentina, linea commerciale: Quattro Salti in Padella, produttore: Findus. Giuro. Il locale posto sul selciato medievale della piazza di Campiglia Marittima, provincia di Livorno, regione Toscana, Italy, serve prodotti in franchising Quattro Salti in Padella. Serviti in piatti di plastica e analoghe posate, corredati da tovaglioli e tovagliette cartacei impressi di detto marchio registrato. A tutela dell’igiene gli gnocchetti non sono stati scongelati tramite quattro salti in padella ma con un fornetto a microonde. Non erano mica cattivi, certo non più delle pennette agli scampi o degli spaghetti allo scoglio che disonorano la gran parte dei ristoranti della Riviera che stanno finendo in questi giorni di ripulire degli ultimi euro quello che rimane del turismo fiducioso e improvvido. Solo è restato, accartocciato in piatto, un profondo, tristissimo senso di miseria, di povertà di spirito, di sconcio. E il nobile paese di Campiglia mi è risultato d’un tratto sporco, insozzato della stessa materia – priva di qualunque rilievo penale – per cui mi risulta sconcio il Paese di questi giorni, di questi anni in universale franchising.
Intanto, nel corso del mio lauto pranzo, due avventori discutevano con grande clamore di politica. Fascista, gridava uni. Sì, e me ne vanto, rispondeva l’altro. Ti si deve impiccà a testa ‘ngiù. L’avete finita di far da padroni. Tu mi schifi. E ti mi schifi il doppio. Ti ci vorrebbe un paio di cazzotti. Viè qua che t’aspetto. Testuale, se rispetto il vernacolo locale. La signora titolare del franchising Quattro Salti in Padella, mossa da sincera e antica vocazione ospitale cerca di farli chetare urlando con provvida autorità: ma la smettete un po’ di disturbà la clientela. I due si guardano in silenzio, torvamente dirigono lo sguardo sulla signora. Ritornano a guardarsi stupiti, scuotendo la testa per incredulità e scandalo e in coro commentano: ora ti sembra che non si pole questionà un po’ tra di noi che subito ti vogliano azzittì? E seduti allo stesso tavolo, fianco a fianco, ammiccando verso l’orizzonte al di là dell’antica piazza municipale, ordinano due caffè corretti. E lesta, che non si sa tempo da perde.
Ah, dolce riscatto dell’atavica indomita tempra del popolo del Bel Paese. Ah, struggente rivincita dell’antica miseria sulla nuova. Alla faccia di quello che vede il nostro primo ministro dalla finestra di casa sua.

Tratto da “Il Secolo XIX”, 21 agosto 2005