Maurizio Maggiani: Sono sempre stato meticcio, ora rivendico le mie radici pagane
Da quando ho acquisito un minimo di coscienza di me stesso e della realtà, da quando mi sento di godere di una quota decente di maturità – forse non da molto, lo ammetto – accetto senza patemi assieme alla mia genetica libertaria anche il mandato culturale che comunemente viene definito come “radici cristiane”. Sono ciò che sono, e sono un vecchio anarchico profondamente religioso, privo di una chiesa che rappresenti appieno l’una o l’altra parte di me. Non per questo mi sono mai sentito attanagliato dalla solitudine, nonostante l’unico status che mi possa definire in qualche modo è quello di “meticcio”. Sono un meticcio culturale, il soggetto che il senatore Pera paventa come l’immagine della disgregazione d’Europa. Di più, sono un meticcio genetico, frutto del primo esperimento di ingegneria genetica, condotto clandestinamente nel cuore degli anni Cinquanta nella Valle del Magra, che ha visto come donatori una contadina apua e un operaio ligure. Dite pure di me che
Ma in questi ultimi giorni sì, mi sento un meticcio sgradevolmente solo.
Non ho mai sentito la necessità di camuffare o attenuare, o anche semplicemente usare con discrezione, la natura duplice della mia formazione genetico culturale, neanche di fronte a me stesso; per questa ragione ho sempre proclamato le mie radici cristiane e libertarie al cospetto di qualunque ragionamento le coinvolgesse – l’avrei fatto anche davanti a Bakunin, se la storia me lo avesse consentito – e in questo essendo assai più pensosamente consapevole che orgoglioso, carico più di domande e dubbi che di certezze e risposte.
Ora non più. Ora veramente con ‘sta storia delle radici cristiane ho fatto il pieno di pazienza e tolleranza. Il discorso del senatore Pera è stata la goccia ultima e drammaticamente definitiva: le gocce dell’acqua cheta prima o poi rovinano i ponti. D’ora in poi rinuncerò a considerare le mie radici cristiane nella deprimevole certezza che siano state svuotate di ogni dignità e verità.
Immagino che andrò cercando le mie profondissime radici anarco-pagane, sapendo che le troverò nella parte più antica e radicata, più fossile e atavica di quel proto cristianesimo di credenze e pratiche con cui sono cresciuto nella civiltà contadina della mia terra. Vivrò le mie radici pagane senza per questo chiedere che siano ospitate in alcun luogo, né atto, né costituzione e tantomeno dibattito pubblico o privato. È il mio gesto di protesta contro l’indecenza, la malafede, l’abominio apostatico con cui un gruppo di potere politico, profondamente ateo per la gran parte dei suoi membri, ha pervertito, forse in modo indelebile, la parola cristiano.
Ancora due o tre cose ho da dire ai cacciatori di meticci, agli scopritori di radici.
Combattere per l’esaltazione delle radici cristiane e quando vi si chiede in cosa consistono balbettate mozziconi di parole e di concetti; tra i rumori par di scorgere la parola tolleranza e democrazia. Entrate in un seminario vescovile o nella biblioteca di una facoltà di teologia e, se non vi schifo, mettevi a studiare un po’ di storia del cristianesimo. La tolleranza cristiana si è definitivamente estinta al consilio di Nicea, 1800 anni orsono, quando si cominciò a combattere tra cristiani in nome della vera fede muniti di bande armate. Da quando avere dubbi sulla consustanziazione o non averne poteva costare la testa. Non sarà un caso che per l’impero di Roma, munito di un corpus legis straordinario in fatto di tolleranza culturale e religiosa, i cristiani, come gli ebrei, sono stati innanzitutto un problema di ordine pubblico. Credere in unico vero dio in una società profondamente multiculturale e religiosa può non essere un problema fino a che non diventi, come è diventata, quella fede uno strumento di sovversione antistatale e di intolleranza cruenta.
Leggetevi la storia dei santi Cirillo e Metodio, e date un’occhiata a quali metodi di evangelizzazione a fil di spada hanno consegnato le Russie alla vera fede. Tolleranza di che? Chiedete a un teologo che c’entri la democrazia con il cristianesimo e in particolare con il cattolicesimo. Qualunque sia il suo orientamento risponderà: niente. A parte alcune chiese riformate e alcune comunità ultra minoritarie – riformate e nate anche per un intimo bisogno di democrazia – la pratica democratica è a dir poco estranea in una chiesa che si regge sull’assolutezza della gerarchia verticale. Non mi risulta che negli ultimi 1800 anni i fedeli abbiano eletto i ,oro vescovi con liste aperte e nemmeno chiuse. I vescovi li eleggono e papi o gli imperatori; il Papa viene insediato nella sua suprema cattedra dallo Spirito Santo per mano del conclave dei cardinali. È questo il genere di democrazia a cui aspirate? Credo di sì.
Dite comuni radici,. Ma cosa c’è di comune, tanto per dire, tra il cristianesimo ex capo della Banca centrale tedesca che viene dimissionato perché ha concesso che una banca gli pagasse un week end di vacanza alla fine di un convegno e il nostro bel governatore che va il pellegrinaggio a Lourdes e a Compostela – non a piedi come a dire il vero una sincera fede imporrebbe – ma sull’aereo privato del finanziere Geronzi? E non se ne va a casa né per questo, né per tutto il resto? Chiedete a un parlamentare calvinista fiammingo o a un pubblico funzionario luterano svedese se scorgono qualcosa di comune con un affarista romano o un deputato palermitano profondamente cattolici. Chiedeteglielo, per favore.
Ma la cosa più perversa è che, all’ultimo momento, avete ben pensato di arricchire il concetto con l’aggiunta di giudaico. Radaci giudaico-cristiane. Che gesto di rivoltante ipocrisia. Come se la storia del cristianesimo non sia segnata, tra l’altro, dall’ossessione di cancellare, annientare ogni traccia di presenza, anche solo l’ombra della presenza, giudaica nel pensiero, nella cultura, ovunque. Il grande filosofo ebreo Mahamonide ha consolato gli ultimi momenti di vita del Grande Saladino discutendo con lui di filosofia. L’orrido islamico è morto tra le sue braccia. Non mi risulta che sia stato un filosofo ebreo a consolare la dipartita di Francesco Giuseppe o di Federico Il Grande o di Carlo V. E non sarà invitato, tempo al vostro capezzale. Per me, che sono meticcio e pagano e anarchico, non lo escludo affatto. Anzi, il mio amico Bidussa si è già offerto.
Tratto da “Il Secolo XIX”, 28 agosto 2005